La corsa all'oro è tornata, ma questa volta non è negli Stati Uniti d'America. Questa volta la febbre delle pepite si è spostata in Nubia. In Sudan gli storici siti minerari del deserto orientale nubiano sono presi d'assalto da una cacci all'oro senza precedenti che sta trasformando in campi arati anche le aree più propriamente archeologiche come il wadi el-Allaki con le rovine della mitica Berenice Pancrisia, "la città tutta d’oro" ricordata da Plinio il Vecchio, individuata dalla più nota coppia di archeologi italiani, quella dei fratelli Alfredo e Angelo Castiglioni, direttori del Centro Ricerche Deserto Orientale.
I due protagonisti assoluti della riscoperta archeologica delle antiche zone minerarie della Nubia, con un articolo sul nuovo numero della rivista "Archeologia Viva", ripercorrono la storia delle loro ricerche in Sudan per lanciare l’allarme contro "una distruzione che sembra inarrestabile". È soprattutto l’oro alluvionale che viene cercato dai minatori di oggi. Nel corso dei millenni l’erosione eolica e fluviale ha intaccato le rocce metamorfiche precambriane che separano la valle del Nilo dal mar Rosso e l’oro si è accumulato sotto forma di pepite nella sabbia delle zone pedemontane.
Gli archeologi lanciano l'allarme: "Il deserto, che dovrebbe essere percorso dagli archeologi per continuare la lettura di un libro ancora incompleto, è ora invaso da una moltitudine di gente (sarebbero 200 mila gli improvvisati minatori) scatenata da un miraggio di ricchezza. Come ben sappiamo, ogni palata di sabbia asportata da un sito archeologico è una pagina strappata da un libro unico. Togli abbastanza terra e il libro diventerà illeggibile".
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