Umar ibn Hafsun, l'incubo dei sovrani di Al Andalus

Umar ibn Hafsun, a cavallo tra XI e X secolo, divenne l'incubo dei comandanti musulmani che dominavano su Al Andalus, l'odierna Spagna meridionale

Umar ibn Hafsun, l'incubo dei sovrani di Al Andalus

Un assassino a capo di una rivolta, un fine stratega o solo un fuorilegge anarchico. È difficile capire quale sia la vera identità di Umar ibn Hafsun, l'uomo per molti anni, alla fine del IX secolo mise in serio pericolo il dominio degli Omayyadi sulla Spagna meridionale, quella che era Al Andalus. Una figura quasi sconosciuta, ma allo stesso leggendaria. Simbolo di una regione ribelle, molto spesso estranea alle regole, ma che rappresenta ancora oggi uno dei cuori pulsanti di Spagna.

Della vita di Umar ibn Hafsun prima della sua rinascita come condottiero si sa poco. Di lui si narra che era nato a Parauta, vicino all'odierna Malaga, e che era un muladi, un discendente di cristiani che avevano deciso di abbandonare la fede cristiana per diventare musulmani. Quella di Umar non deve essere stata una giovinezza particolarmente facile. Il suo è un carattere violento - qualcuno lo descrive come un selvaggio - incine alle risse e ai duelli. Ma a un certo punto, irrompe l'episodio che gli cambierà per sempre la vita: un omicidio. Forse in una rissa - ma le testimonianze ovviamente sono scarse e difficilmente attendibili - Umar colpisce un uomo a morte e decide di fuggire dalla giustizia. Prende una barca e fa rotta verso il Marocco, si ferma a Tahart e inizia a lavorare nel laboratorio di un sarto. Il tempo scorre come se nulla fosse, ma un giorno un uomo proveniente da Al Andalus entra nel laboratorio e gli domanda se sa cosa è successo a Bobastro, un'antica roccaforte tra le montagne e i corsi d'acqua andalusi. Umar ibn Hafusn prova a evitare di rispondere, ma il racconto di uno storico anadaluso di qualche anno dopo, Ibn al-Quṭiyya, il vecchio lo riconosce, aggiungendo una profezia: "Sarai il mastro di Banu Umayya, incontreranno la rovina dalle tue mani, e governerai su un grande regno".

Le parole del vecchio andaluso accendono i sogni di gloria di Umar, che decide di ripartire per la sua terra. L'uomo si unisce a un gruppo di banditi e fuggitivi che si sono rifugiati a Bobastro, antica roccaforte romana circondata da boschi e fiumi e da cui si può controllare l'intera provincia. Un luogo impervio e allo stesso tempo ricco d'acqua: ideale per rimanere nascosti e resistere a qualsiasi tipo di assedio. Umar decide di ricostruire la fortezza e nel giro di poco tempo, dopo aver assunto la guida dei banditi nascosti tra le antiche mura di Bobastro, lancia una vera e propria campagna di reclutamento in tutto il territorio circostante. Raduna intorno a sé muladi e mozarabi, coloro che, al contrario dei primi, non si erano convertiti all'Islam, e comincia a colpire i castelli intorno alla sua roccaforte fino a raggiungere anche Cadice, Jaen e l'odierna Granada. In poco tempo, il suo nome diventa famoso in tutto l'emirato di Cordoba, trasformandosi nell'incubo dei capi musulmani.

L'esercito degli Omayyadi inizia a dargli la caccia, ma i primi risultati sono nefasti. Per due volte l'assalto dell'esercito omayyade finisce male, e Umar, ritiratosi a Bobastro, non sembra intenzionato a cedere. Soltanto dopo tre anni di nuove scorrerie e conquiste le forze islamiche riescono a prenderlo, trascinandolo in catene a Cordoba. Il sultano lo ammira e gli confessa di essere pronto ad arruolarlo tra le sue forze perdonandolo dall'accusa di essere a capo della peggiore rivolte dagli ultimi anni. Umar accetta la proposta. Tuttavia, dopo qualche mese, complice una corte ben poco incline ad accettare uno come lui, un muladi che si è permesso di combattere contro le forze del sultano, decide di andarsene riprendendo la lotta. Il capo ribelle scaccia le truppe che hanno conquistato Bobastro in sua assenza e, dopo aver resistito per nuovi assedi, prova a trattare con il nuovo sultano Al Mundir, dopo che Mohammad I muore improvvisamente. Al Mundir è pronto a vendicarsi di ibn Hafsun, ma viene avvelenato dal fratello, Abdallah. Il ribelle vede l'esercito omayade praticamente in disperato e punta ad assaltare l'accampamento, ma il sultano chiede disperatamente un armistizio e Umar firma la pace in cambio di Archidona. Una tregua che durerà comunque poco, perché dovrà di nuovo confrontarsi con un assedio nella sua roccaforte.

Nel frattempo, nell'899, Umar ibn Hafsun si battezza prendendo il nome di Samuele. Non si sa se per convinzione di fede o se, come dicono molti storici, per farsi apprezzare dai mozarabi o più ancora da Alfonso III delle Asturie, sovrano in cerca di gloria contro i musulmani. A Bobastro fa erigere anche la Iglesia Mozárabe, ma quella mossa non piace a tantissimi muladi, che iniziano ad abbandonarlo segnando il declino del ribelle che aveva fatto tremare i sovrani omayyadi. In una decina di anni, il suo regno inizia a vacillare definitivamente. Per un momento partecipa anche a una spedizione contro i cristiani, ma senza successo. E nel 917 muore nella sua città. I figli proveranno a mantenere in vita il sogno del padre, ma questa volta Abd al-Rahman III non darà tregua alla stirpe del ribelle.

Il sultano punterà Bobastro distruggendo ogni cosa e si narra che i resti mortali di Umar ibn Hafsun siano stati riesumati e crocifissi a Cordoba in segno di vendetta contro colui che aveva saccheggiato e messo in pericolo il regno islamico.

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