Dopo aver passato la vita a inquisire e giudicare ladri, truffatori, rapinatori, narcotrafficanti, terroristi, mafiosi, corrotti, corruttori, concussori, stupratori e assassini, l'ex magistrato Giuseppe Battarino, classe 1959, è passato a inquisire e giudicare coloro che scrivono di ladri, truffatori, rapinatori, narcotrafficanti, terroristi, mafiosi, corrotti, corruttori, concussori, stupratori e assassini: vale a dire giornalisti, sceneggiatori e scrittori di gialli.
Già professore di Diritto processuale penale all'Università dell'Insubria, conosce a menadito i codici e coglie in castagna gli scrittori che incappano in errori marchiani. Cioè molti scrittori di gialli perché, appunto, secondo Battarino se ne salvano pochi.
È stato pretore a Luino e a Varese; sostituto procuratore della Repubblica a Busto Arsizio; giudice del Tribunale penale di Varese; giudice per le indagini preliminari sempre a Varese e poi a Paola, in Calabria; infine Coordinatore dell'Ufficio Gip-Gup del Tribunale di Varese. Scrittore egli stesso di gialli e di sceneggiature teatrali, ora si occupa di comunicazione giuridica e gira per paesi e città a tenere conferenze e lezioni su come si scrive correttamente di un delitto o di un arresto. In verità tiene conferenze e lezioni anche su temi più seri ammesso, e assolutamente non concesso, che i gialli non siano una cosa seria e fa divulgazione sulla Costituzione e sul sistema penale, del quale tanto si parla ma pochissimo si sa. Un suo libro, Il tempo della giustizia, è stato adottato come testo nella facoltà di Scienze della comunicazione all'Università dell'Insubria.
«Molta della letteratura noir», mi dice nel suo studio di Como, città dove ha sempre vissuto ma mai fatto il magistrato, «è molto debole nella conoscenza del sistema penale. E così, girando su inviti di Comuni, associazioni culturali e scuole con il Progetto legalità quotidiana, cerco di spiegare una base minima di conoscenza dei codici, com'è il sistema penale e come invece ce lo raccontano. Ad alcuni aspiranti giallisti mi sono invece rivolto in un recente corso di scrittura tenuto da Bruno Morchio».
Non solo gli aspiranti scrittori, però, avrebbero bisogno di ascoltare Battarino. «Anche i famosi sbagliano. Ora, lasciamo perdere i Poirot che radunano in una stanza tutti i sospetti e smascherano il colpevole: quelli sono investigatori costruiti dall'immaginazione di scrittori che possono godere di ampia licenza letteraria. Io parlo di altri errori. Leggere, ad esempio, di un mandato di cattura, che non esiste più dal 1989. O dell'arresto preventivo, inesistente pure quello. O ancora, quando viene detto a un teste di non allontanarsi dalla città: non esiste proprio».
Veramente, obietto, il mio idolo personale, vale a dire il vicequestore Rocco Schiavone, nato dalla penna di Antonio Manzini e interpretato in tv da Marco Giallini, lo dice sempre ai testimoni: «Resti a disposizione, le chiedo di non lasciare la città». Anche Manzini sbaglia?
«Manzini è un fuoriclasse», risponde: «Ma anche lui cade in errori che ci vorrebbe poco per evitare. Ad esempio. Il suo ultimo libro, Tutti i particolari in cronaca, è bellissimo. Non bello: bellissimo. Ma a pagina 166, parlando di una sentenza di condanna, scrive che il giudice, quando la pronuncia, esordisce dicendo Visti gli articoli 575... eccetera eccetera. E no. Perché il 575 è l'articolo del Codice penale che punisce l'omicidio, ma quando si pronuncia una sentenza di condanna si comincia dicendo Visto l'articolo 533... che è del Codice di procedura, non di quello penale».
Chiedo: lei è un preciso o un pignolo? Ma lui imperterrito: «E le dirò di più: a pagina 288, Manzini parla di un arresto delle forze dell'ordine». E allora? «E allora in quella frase ci sono ben due inesattezze. La prima è che un arresto si può fare solo in flagranza di reato: e lì non c'è flagranza, quindi al massimo poteva essere un fermo. Seconda, le forze dell'ordine non esistono. È un modo di dire diffuso ma sbagliato: si chiama polizia giudiziaria».
Liquidato Manzini, o meglio corretto con la matita rossa, Battarino passa a Clara Negro, di cui cita Un diamante rosso sangue, edito da Morellini: «Uno dei gialli più belli che ho letto negli ultimi anni. Ma qualche imprecisione l'ho trovata: c'è una confusione fra Questura e Commissariato e, appena viene commesso un omicidio, la principale testimone viene sentita in una specie di interrogatorio informale, e non a verbale com'era indispensabile per la storia». Quindi, si arriva al Mostro Sacro. Al Maestro. Andrea Camilleri. Ma... vuol dire che perfino Montalbano...
«Montalbano», dice l'ex pretore, l'ex pm, l'ex giudice ex gip ex gup eccetera, «stando alla legge sarebbe già dovuto sparire a pagina 18 de La voce del violino, uno dei primi romanzi. Altera la scena del delitto, mente a un pubblico ministero... Insomma, avrebbe dovuto essere radiato dalla Polizia di Stato. Ma debbo dire che nei confronti di Camilleri abbiamo tutti un debito di riconoscenza perché anni dopo, ne La rizzagliata, nella nota finale scrive: Ho una crassa ignoranza per quanto riguarda compiti e funzioni degli uffici giudiziari. È così. Ma essendo un grande scrittore, Camilleri poteva permettersi anche di inventare. Come ha fatto ne Il giudice Surra, un capolavoro in cui si ricostruisce magistralmente il mondo giudiziario dell'Italia postunitaria in Sicilia. Ben pochi hanno quel talento».
E gli sceneggiati televisivi? Le serie? «Non parliamone. Ne La squadra si susseguivano poliziotti aggressivi che violavano le regole di base del loro lavoro. Nella prima puntata di Vostro onore, di Alessandro Casale con Stefano Accorsi, c'è un'udienza penale inimmaginabile con l'avvocato difensore inesistente, il giudice che impone al testimone di consegnargli il telefono e controlla illegalmente che cosa c'è dentro, l'imputato interrogato senza regole...». Roba da matti.
«Basterebbe davvero poco per evitare errori così banali...», dice mentre si congeda per andare a uno dei suoi incontri, e come faccia a trovare il tempo per leggere tanti gialli e passarli al setaccio, è un giallo anche questo.
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