Anche dopo così tanti anni quasi ogni giorno arriva un segno: un libro, una lettera, una fotografia, una persona, che riporta il tempo quando sul fronte russo imperversava la guerra forse più drammatica di tutta la nostra storia.
Prima ancora che avesse inizio l'invasione del 22 giugno 1941, la disponibilità italiana era per un Corpo d'Armata autotrasportabile che subito assunse la denominazione di Corpo di Spedizione Italiano in Russia (Csir). Era formato dalle Divisioni Pasubio, Torino e 3a Celere Principe Amedeo d'Aosta; e poi, naturalmente, dai servizi: genio, autoreparti, ospedali, intendenza per un totale di 62mila uomini. Le operazioni di questo corpo di spedizione ebbero inizio nell'estate del 1941 e continuarono con alterne e drammatiche vicende fino all'inverno del 1943.
Ma già nell'inverno del 1941, il più rigido del secolo, Hitler aveva prospettato a Galeazzo Ciano l'attacco al Caucaso per la primavera, e l'inizio della grande marcia a Oriente che attraverso l'Iran, l'Iraq e la Siria si sarebbe conclusa in Egitto. In questo progetto avrebbe accolto con favore la presenza di Divisioni alpine italiane nel settore del fronte sud della Russia. Malgrado il parere contrario e circostanziato del generale Messe, già comandante del Csir, il nostro Stato Maggiore si diede da fare per allestire altre Divisioni da aggiungere al Csir, e Hitler in una lettera al duce, in data 30 dicembre 1941, lo ringraziava per i Corpi d'Armata che poi avrebbero costituito una Armata al cui comando, assicurava, sarebbero state sottoposte anche forze germaniche.
Il Corpo d'Armata Alpino con le Divisioni Tridentina, Julia e Cuneense, le Divisioni Sforzesca, Cosseria, Ravenna e Vicenza con molti altri reparti di artiglieria, sei squadriglie di aerei, una legione croata, con raggruppamenti di camicie nere eccetera, il vecchio Csir, vennero così a formare l'Armata Italiana in Russia (Armir). In tutto eravamo 229.005 uomini con 25mila quadrupedi e 16.700 automezzi. Poi venne anche l'inverno del 1942-1943... 89.838 furono i caduti e i dispersi, 43.282 i feriti e i congelati. Quasi tutto l'armamento andò perduto.
Ora dagli archivi del KGB di Mosca, stanno uscendo i fascicoli dei prigionieri di guerra. Sembra che nei campi di concentramento sparsi per l'immensa Russia, fino in Siberia e nell'Asia centrale, siano entrati 48.957 nostri fratelli italiani e che per ognuno di loro sia stata scritta la storia: dei morti e dei vivi. Aspettiamo di conoscerla, noi che siamo sopravvissuti e i familiari che del loro congiunto sanno solo «disperso». Da quelle lontane steppe, da quelle tracce che la bufera subito cancellava, da quelle eterne notti di sofferenza congelata, dai combattimenti disperati sostenuti solo con la speranza di ritornare a casa, da quelle marce del davai segnate da lunghe file di corpi che la neve pietosamente ricopriva, da quelle tradotte senza meta che vagavano in uno spazio senza orizzonti e che a ogni fermata non stazioni, non case, non miraggi di paesi lontani aprivano le porte dei carri per scaricare i cadaveri, dai lager dove qualche volta non c'erano nemmeno le baracche o una tana a dare ricovero ma solo reticolati e guardie incattivite dalle sofferenze, da questo mondo lontano appena cinquant'anni, arrivano le ombre di migliaia di nostri soldati.
Erano tutti sui vent'anni come diceva una canzone che cantavamo «E le loro vite/ non tornano più».
Settembre 2000
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