Lorenzo Pellicioli, bergamasco, 60 anni a luglio, amministratore delegato del gruppo De Agostini, sa bene che la finanza può fare magie, ma può anche riservare brutte sorprese. Alla prima categoria appartengono alcune operazioni come la fusione, nel 2000, fra la Seat (Pagine Gialle) e Tin.it che gli fruttò una stock option da 170 miliardi di lire; o quella della vendita, nel 2005, della Toro alle Generali con una plusvalenza di 925 milioni di euro. Alla seconda categoria appartengono invece i fastidi di oggi, in particolare le minusvalenze che deve necessariamente contabilizzare (causa le recenti normative) sulle partecipazioni acquisite negli ultimi anni in una marcia forzata verso la diversificazione che ha trasformato la novantenne società novarese, quella degli atlanti geografici, in una sorta di holding.
La crisi del 2008 aveva già inciso pesantemente sul bilancio dellanno successivo chiuso con un risultato consolidato netto negativo di 213 milioni; non si hanno ancora indiscrezioni sul 2010, ma è molto probabile che sarà di nuovo un esercizio difficile dal punto di vista dei conti. «Oggi siamo una delle maggiori realtà familiari in Italia e allestero», dice il presidente Marco Drago che assieme allaltro ramo della famiglia, i Boroli, controlla il gruppo. Ma quella corsa alle acquisizioni che ha portato alla creazione di un vero impero fatto di televisioni (Antenna 3 in Spagna, Magnolia, Zodiak), giochi (Lottomatica), distribuzione (Migros in Turchia), sanità (Générale de santé in Francia, assieme ad Antonino Ligresti), società di private equity e di tanto altro ancora, ha esposto la De Agostini ai capricci dei mercati e delle quotazioni altalenanti.
Questo discorso vale in particolare per le Generali delle quali la De Agostini è azionista importante con il 2,3% e le cui quotazioni stanno appunto causando dei problemi. Pellicioli, che siede in consiglio a Trieste, vorrebbe che la compagnia puntasse esclusivamente sul miglioramento dei risultati economici in modo da farne beneficiare il titolo. In questo non è in totale sintonia con Cesare Geronzi, presidente del Leone dal marzo 2010, più interessato alle cosiddette operazioni di sistema rese possibili dal colosso triestino, che alle fredde poste contabili.
Proprio in questi giorni il ruolo di Geronzi è stato al centro di una vivace contestazione. Diego della Valle, padrone della Tod's e azionista anche lui delle Generali, ha definito il numero uno di Trieste e il suo collega Giovanni Bazoli, presidente di Intesa, «due vecchietti» che farebbero bene a mettersi da parte per lasciare spazio a una nuova generazione. Non solo: Della Valle nel consiglio di amministrazione del 3 febbraio ha chiesto espressamente a Geronzi di abbandonare una storica partecipazione del Leone, vale a dire il 4% che detiene in Rcs, la casa editrice del Corriere della Sera della quale è socio lo stesso mister Tods. «Quella presenza in Rcs non è strategica e va venduta», ha detto. Aggiungendo che la sua posizione «è condivisa da vari azionisti delle Generali». Quali? Nessuno ha fatto nomi.
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