"La democrazia non è sexy, ma la rivoluzione è difficile"

In "Amici di una vita" lo scrittore libico Hisham Matar ripercorre, tramite i cuori di tre ragazzi, la storia del suo Paese

"La democrazia non è sexy, ma la rivoluzione è difficile"

L'amicizia, la libertà, la lotta politica, la rivoluzione, contro il regime di Gheddafi in Libia. Sono solo alcuni dei temi dell'ultimo romanzo di Hisham Matar, Amici di una vita (Einaudi, pagg. 376, euro 21, traduzione di Anna Nadotti), un racconto che tocca il cuore, che ci parla della forza del candore e della potenza della passione. Matar ha vinto nel 2017 il premio Pulitzer per l'Autobiografia con Il ritorno (anch'esso edito da Einaudi) dedicato al padre Jaballa, nemico del colonnello. Quest'ultimo libro narra invece la storia di tre ragazzi e della nostalgia struggente per il loro Paese, la Libia, la loro Atlantide, sprofondata negli abissi. Ne parliamo con l'autore che ci risponde dal suo appartamento a Londra e che si nasconde dietro gli occhiali da vista, forse per timidezza o per pudore.

Matar, qual è la sua Atlantide, la città perduta?

«Ci sono diverse parti del mondo dove mi sento a casa. Qualcosa accade quando a 5 o 6 anni realizziamo che non siamo soltanto la nostra famiglia, il nostro Paese, o qualsiasi affiliazione, razza, religione, genere... C'è qualcosa che siamo esclusivamente noi. Quando ciò accade, questo luogo, paesaggio, città, diventa non solo solitudine disperata, ma anche riconoscimento della nostra singolarità. A me accade accanto al mare, il Mediterraneo, dove sono cresciuto, a Tripoli. Per me il mare è un luogo molto evocativo, lì mi sento guarito».

Che cosa ci spinge a lasciarci alle spalle qualcosa e a metterci in viaggio?

«La differenza tra essere in esilio ed essere un expat è che chi è in esilio non può ritornare. Negli ultimi 50 anni molti di noi non vivono dove sono nati, ma dove hanno la famiglia, il lavoro... La questione dell'immigrazione è centrale oggi. Molte persone si spostano, e si interrogano in quale luogo costruire le proprie tradizioni, il proprio pensiero, quello che faranno».

Che cosa caratterizza l'amicizia vera?

«L'amicizia è un mistero. Ne abbiamo diverse in differenti momenti e noi siamo differenti con i diversi amici. L'amicizia è un luogo, una stanza. In alcune ci sentiamo innamorati. In altre, la stanza è senza finestre e piccola, ma cambia a seconda di come le persone si comportano. È una struttura sociale dinamica. L'amicizia non è come il matrimonio che prevede un contratto, c'è più sperimentazione, nessuno sa che cosa accadrà. E il miglior modo per rovinare un'amicizia è dire: dobbiamo essere amici così, è un mezzo per ucciderla. L'amicizia è improvvisazione».

La Libia è difficile da capire?

«Non è più difficile da capire che qualsiasi altro Paese. Ogni nazione crea una propria dinamica interna, una piccola famiglia, i membri sembrano simili, ma sono radicalmente differenti. Non penso che i miei amici italiani conoscano bene gli inglesi, o viceversa. Gli italiani ad esempio sono più simili ai libici che ai britannici. La letteratura ci insegna che noi tutti abbiamo molto più in comune che non il contrario. Se leggiamo un romanzo russo dell'Ottocento, vi rimaniamo completamente coinvolti, così come da un romanzo giapponese. La letteratura ci mostra come siamo tutti profondamente connessi. Così se arriviamo in aereo a Napoli e pensiamo sono in un luogo folle, e tutte le solite idee su questa città, non capiremo nulla. Dobbiamo arrivare sui posti ed essere comprensivi, curiosi».

L'ingenuità ha un cuore fatale?

«È un pensiero di uno dei miei personaggi, Mustafa. I tre amici sono differenti per temperamento. Mustafa è ansioso di essere protetto da minacce. Ho conosciuto persone che hanno lasciato il loro Paese non per scelta, e per loro è difficile rimanere aperti. Mustafa vuole rimanerlo, ma i pericoli lo mettono in ansia».

Perché quello del ritorno è un mito?

«I miei personaggi nel corso della vita sono cambiati e il posto dove ritornare non è più lo stesso. Però ci sono anche situazioni meno estreme. Io per esempio ho amici italiani a Londra che vivono qui da 15 anni e ritornano in Italia una o due volte l'anno. Sono a Londra perché hanno studiato qui, hanno trovato un lavoro, si sono innamorati. Quando hanno figli pensano spesso alla possibilità di un ritorno, ma sanno che andranno verso un posto differente. Loro sono italiani ma sono anche qualcosa di diverso. Come quando metti una crema sulla pelle: assorbe altre cose, i suoni, i ritmi di un posto, la cultura, e così ci si trasforma».

La rivoluzione esige grande immaginazione?

«La rivoluzione forse non è il miglior modo per cambiare le cose. Queste devono modificarsi con l'impegno. La democrazia ci dà l'opportunità di cimentarsi in mutamenti progressivi. Non è così sexy o drammatica come la rivoluzione, ma io ammiro le persone che provano a modificare le cose poco alla volta. Ci sono momenti in cui non hai alternative. Ma la rivoluzione è difficile da gestire, anche quando ha successo. Richiede urgenza, passione e immaginazione, riflessione, analisi, critica, tempo e attenzione. È difficile realizzare le ambizioni di una rivoluzione. È necessario che la società si incendi, così come l'immaginazione, per costruire la società che verrà. Accade ai miei personaggi durante la Primavera araba in Libia».

I romanzi sono funzionali al mestiere del vivere?

«Sono interdipendenti, quando scrivi un romanzo lo fai perché hai bisogno di vivere. Ma molte persone vivono una buona vita senza mai leggere un libro. Non penso che necessariamente una vita nei libri sia una vita più ricca. La vita sociale è anche importante, impegnarsi con gli altri esseri umani, avere compassione».

È così essenziale ottenere l'esistenza che si desidera?

«Uno dei miti dei nostri tempi è la convinzione che se raggiungeremo i nostri obiettivi, saremo felici. La felicità è il valore più alto. I miei momenti più felici sono quando do, non quando ricevo. Dobbiamo essere coraggiosi e vivere la vita con profondità. Per esempio per alcuni può essere un bene vivere in una bella casa, avere una bella macchina. Ma essere felici non è assicurarsi che gli altri pensino che viviamo una vita felice».

Mustafa, uno dei protagonisti del libro, dice che quando sarà vecchio vorrà parlare solo di idee, cibo e sogni. E lei?

«Non c'è mai fine nel parlare di idee, e anche di cibo. Tutto il cibo; libico, italiano, inglese. Quando vado al mercato con i miei amici, non ho piani su che cosa cucinerò, scegliamo ciò che ci sembra buono e fresco. Torniamo a casa per fare da mangiare e parliamo di poesia, film, idee, anche gossip, di sogni, che sono tuttora un mistero, anche per la psicoanalisi».

Esiste qualcosa di eterno?

«Io penso che tutto sia eterno, ma non so in che modo lo sia.

Per esempio, quando vedi una donna anziana che cammina accanto a sua figlia di 50 anni, e lei ne ha 85. Camminano con calma, e vanno in un negozio, o a casa. So che ciò è eterno. Forse un giorno filtrerà tra gli alberi. La letteratura insegna che se tu pensi di essere solo, non lo sei, e questo è un segno di eternità».

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