Difesa dei privilegi

Quasi non pare vero, eppure c'è stato chissà come un giorno di pausa, finalmente senza interviste di sindacalisti in tv o ai giornali. Perché tra le gesta perniciose di questo governo c'è pure questa: aver ridato importanza a Angeletti, Bonanni, e ad Epifani. A costoro che solenni ci spiegano l'economia che non sanno, tra svarioni dialettali o contabili, e a tutta l'Italietta di pigrizie provinciali che incarnano. Perché mentre l'uno si confonde da solo a parlare del Pil o l'altro ci conferma che gli statali servono solo a darsi uno stipendio, c'è tutto un mondo che si riconforta con loro. Migliaia di burocrati ciarlieri di cui temo pochi devoti a quel mestiere per sdegni o entusiasmi. Attenti invece a rigirarsi il distacco sindacale tra una categoria e l'altra, o in fila per altra poltrona o per pensionarsi, male che vada. Del resto la più parte degli iscritti sindacali sono dei pensionati, e degli altri molti sono volentieri occupati pubblici o quasi. Sicché i sindacalisti duri e puri, dei settori produttivi, sono più rari. E comunque di rado si chiede loro un'intervista. Il mestiere del sindacalista, a prova persino di referendum, è ormai sentito solo appunto come un lavoro parapubblico.
Insomma, caro lettore, vorrei richiamare la Sua attenzione sul fatto che c'è qualcosa di ben peggio delle interviste, sempre uguali, di costoro. C'è il venir meno di un mestiere pure utile nell'economia dove si lavora e produce. E infatti le complicate algebre di questa finanziaria premiano gli statali, aumentano il loro privilegio. Nel 2003 la retribuzione netta media di un dipendente pubblico era del 37% superiore a quella del suo collega del settore privato. E, grazie ai miliardi di tasse trasferiti dalle nostre tasche al contratto degli statali, questo vantaggio aumenterà pure. L'atavico Bonanni, e compagni, possono ben dirsi quindi presidio di rendite in recita di essere operose o maltrattate. O delle rendite e basta, come quelle dei pensionati. Infatti ci sono 5 milioni di pensionati tra i 40 e i 64 e l'ossessione sindacalista di affossare la Riforma Maroni lotta per mantenerli inalterati. Forse accrescerli. Così obbediscono del resto al loro curriculum, un karma parapubblico abile nelle bega impiegatizia, e desioso solo di pensione precoce.
Ovvio pertanto che il buon momento dei comunisti falliti che al governo ricattano Prodi facesse levitare questa leva di leader sindacali. Forse la peggiore che si ricordi. Comunque di certo peggio persino di quella folle degli Anni 70. Perché almeno la triplice nelle sue demagogie un fervore ce l'aveva. E Trentin e soci almeno la distribuzione del reddito la avevano ribaltata, facendo crescere davvero la quota del lavoro dipendente. Essa oggi in percentuale del reddito netto disponibile è calata infatti sotto il 50%; da più del 60% che aveva raggiunto in quegli anni. Così malgrado il tasso del profitto, proprio lui quello di cui nessuno più parla, dal 1993 sia risalito di almeno un 15%, i salari netti del settore privato reali ovvero deflazionati, restano ancora sotto i livelli di quell'anno. E il crollo potrebbe stimarsi ben maggiore se solo si usasse un indice diverso da quello dei prezzi al consumo. Insomma il sindacato si è guardato bene dal chiedere una parte dei profitti per i lavoratori.

Ha piuttosto smaniato e seguita a smaniare per pensionati e statali, che sono poi gli unici davvero premiati dal governo Prodi. È questa la sola Italia che pare ora contare, e che si finge coerente agli interessi di chi invece lavora davvero. È l'esito inevitabile del degenerare del sindacalismo in Italia, in mestiere parapubblico.

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