Il cambiamento di strategia Usa nell'Indo-Pacifico per contenere la Cina

Il pilastro di questa nuova politica è stato il Tpp (Trans Pacific Partnership), un accordo di libero scambio tra 12 Paesi che si affacciano ai margini dell'Oceano Pacifico, ma Washington ha continuato a intessere relazioni bilaterali con Filippine, Vietnam, Giappone e Australia

Il cambiamento di strategia Usa nell'Indo-Pacifico per contenere la Cina

La Cina rappresenta il primo capitolo della strategia di sicurezza statunitense almeno sin dal 2009, quando l'allora presidente Barack Obama varò il piano “Pivot to Asia”, spostando l'attenzione degli Stati Uniti dal quadrante europeo e da quello mediorientale verso l'Indo-Pacifico col chiaro intento di contenere le ambizioni cinesi di diventare una potenza globale, stringendo relazioni coi Paesi della regione.

Il pilastro di questa nuova politica è stato il Tpp (Trans Pacific Partnership), un accordo di libero scambio tra 12 Paesi che si affacciano ai margini dell'Oceano Pacifico, ma Washington ha anche continuato a intessere relazioni bilaterali riguardanti la sicurezza secondo il principio hub and spoke (traducibile come “centro e raggio”) con quelle nazioni maggiormente interessate dal rinnovato espansionismo cinese come Filippine, Vietnam, Giappone e Australia.

Dal punto di vista della sicurezza, lo spostamento del baricentro della politica estera Usa di Obama nell'Indo-Pacifico ha visto l'elargizione di fondi per le spese militari (ad es. al Vietnam) e il proseguimento della presenza militare statunitense in quel teatro, con l'invio – periodico – di un secondo Csg (Carrier Strike Group) in seno alla Settima Flotta e schieramenti di bombardieri strategici a Guam, che insieme a unità navali della U.S. Navy hanno avuto il compito di dimostrare l'impegno statunitense nella difesa del principio della libertà di navigazione dei mari e dei cieli in zone geografiche che sono caratterizzate da contenziosi per quanto riguarda la sovranità territoriale (ad es. il Mar Cinese Meridionale).

Questo approccio non ha dato i frutti sperati, sia perché molti Paesi del Pacifico Occidentale sono legati commercialmente ed economicamente alla Cina, sia perché l'assertività cinese è diventata lentamente, nel corso degli anni, una vera a propria aggressività: è sotto gli occhi di tutti quanto sta accadendo in questi ultimi mesi tra Pechino e Manila nella Zee (Zona di Esclusività Economica) filippina nel Mar Cinese Meridionale, dove le aggressioni (per ora coi cannoni ad acqua) della Guardia Costiera cinese ai militari filippini sono ormai all'ordine del giorno.

L'amministrazione Trump ha dato maggiore enfasi a questa politica di contenimento della Cina, agendo dal punto di vista commerciale, ovvero elevando dazi su alcuni beni e materie prime, e militare, aumentando notevolmente la propria presenza nella regione del Pacifico Occidentale, anche grazie alla destabilizzazione aperta dalla Corea del Nord che ha accelerato i tempi del suo sviluppo nucleare e missilistico.

Dall'altro lato, Pechino ha proseguito la sua militarizzazione delle isole contese nel Mar Cinese Meridionale, sebbene lo stesso presidente Xi Jinping, proprio durante un vertice a Washington nel 2015, disse dal giardino della Casa Bianca che la Cina non avrebbe dislocato sistemi d'arma nelle isole che occupava.

Si è arrivati così a una situazione generale in cui non si può parlare propriamente di escalation, ma di lento e costante innalzamento della tensione, che ha visto coinvolta anche Taiwan, dove ormai le penetrazioni di caccia e bombardieri cinesi nell'Adiz (Air Defence Identification Zone) di Taipei sono una costante, ed effettuate con un numero sempre più consistente di velivoli che varcano anche quella “linea rossa” che era la bisettrice dello Stretto di Taiwan, che sino a qualche anno fa non veniva quasi mai oltrepassata dagli aerei militari di Pechino.

Durante il quadriennio trumpiano, si è riesumato anche un vecchio patto multilaterale, il Quad (Quadrilateral Security Dialogue) tra Giappone, India, Australia e Stati Uniti, proprio con la finalità di contrastare l'espansionismo commerciale e militare cinese, poi allargato negli scopi dalla successiva amministrazione Biden, che ha aggiunto la collaborazione quadrilaterale per le tecnologie emergenti, i cambiamenti climatici e i vaccini per la recente pandemia. Proprio l'attuale inquilino della Casa Bianca ha proseguito nel multilateralismo varando uno storico accordo di sicurezza – per ora solo anglofono – denominato Aukus tra Australia, Regno Unito e Stati Uniti che ha al centro la cooperazione militare e la condivisione del sistema industriale della Difesa (ad es. per la ricerca nel campo dell'ipersonico), e l'approfondimento della collaborazione in materia di intelligence.

Si sta assistendo, quindi, a un cambio di strategia di sicurezza degli Usa, passando principalmente dalla stipula di accordi bilaterali, alla ricerca di un maggior multilateralismo sul modello europeo, ovvero ripercorrendo la stessa strada che era stata segnata in campo commerciale.

Questo contesto generale ha favorito la nascita di altri accordi bi e multilaterali tra gli stessi Paesi del Pacifico Occidentale ma soprattutto tra questi e le nazioni europee. A tal proposito è notizia recente della stipula di uno storico accordo di sicurezza tra Giappone e Filippine, che stabilisce le norme per la cooperazione tra le reciproche forze armate, facendo segnare il terzo accordo simile stabilito da Tokyo dopo quello col Regno Unito e l'Australia.

Dicevamo che i Paesi di quel vasto teatro stanno guardando con interesse all'Europa, e infatti la Francia, che per inciso ha territori d'oltremare in Oceania che recentemente hanno visto sommosse eterodirette (leggasi Cina) in Nuova Caledonia, nel 2020 ha tenuto il suo primo “dialogo trilaterale” con India e Australia, mentre la Germania, sempre nello stesso anno, ha redatto la sua prima politica per l'Indo-Pacifico che ha portato alla prima missione di un fregata in quelle acque e all'apertura di un dialogo col Giappone.

Anche l'Italia si è mossa attivamente, sia stringendo uno storico patto di cooperazione strategica con Tokyo, sia implementando le sue relazioni con altri Paesi come l'Indonesia e Singapore, senza dimenticare il maggior impegno a “mostrar bandiera” in quel settore di globo con la

partecipazione della Marina Militare a esercitazioni militari come Rimpac 24 e le missioni in Indo-Pacifico del Csg della portaerei “Cavour” e del gruppo aereo dell'Aeronautica Militare che, a tappe (di cui una in Australia), arriverà sino in Giappone.

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