"Rubate le nostre provviste in mare". Nuove scintille tra Filippine e Cina

La tensione tra Filippine e Cina nel Mar Cinese Meridionale non acenna a diminuire: la Guardia Costiera di Pechino ruba le provviste per la guarnigione filippina

"Rubate le nostre provviste in mare". Nuove scintille tra Filippine e Cina
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Il 4 giugno piccole unità veloci, nella fattispecie gommoni a scafo rigido, della Guardia Costiera cinese con una rapida azione hanno letteralmente rubato le provviste per la guarnigione filippina presente a Second Thomas Shoal, un atollo nel Mar Cinese Meridionale. I rifornimenti per i militari di Manila erano stati paracadutati in mare, e ad attenderli c'erano dei gommoni delle forze armate filippine, ma i Rhib (Rigid Hull Inflatable Boat) della Guardia Costiera di Pechino sono stati più rapidi e li hanno intercettati e raccolti.

Quella che può sembrare una scena tratta da una commedia in realtà è solo l'ultimo video che ci giunge da quel lontano teatro che dimostra la crescente tensione tra la Cina e le Filippine nel quadro della contesa per la sovranità nel Mar Cinese Meridionale. Nelle scorse settimane, infatti, Pechino ha messo in atto delle vere e proprie azioni coercitive ai danni delle unità sottili filippine, utilizzando i cannoni ad acqua dei cutter della propria Guardia Costiera, ed effettuando manovre aggressive come il taglio della rotta.

Come sappiamo, da tempo la Cina rivendica la propria sovranità sull'intera ampiezza di quel vasto specchio d'acqua che bagna le coste del Vietnam, di Taiwan, delle Filippine, dell'Indonesia, del Brunei e della Malesia in base a una carta geografica, edita durante gli anni '30 del secolo scorso, che tratteggiava buona parte del Mar Cinese Meridionale come appartenente alla Repubblica di Cina.

Oggi gli stati rivieraschi rivendicano la sovranità su porzioni più o meno ampie di quel mare in base al diritto internazionale, che stabilisce i limiti della Zona di Esclusività Economica, ma la Cina, che pure è stata firmataria di quella convenzione dell'Onu (l'Unclos), da anni ha messo in atto una politica finalizzata a ottenere il controllo esclusivo di tutto il Mar Cinese Meridionale. In particolare Pechino utilizza la propria flotta di vascelli della Guardia Costiera e di pescherecci armati o meno per intimidire le unità navali delle altre nazioni che sono bagnate dal quel mare per il quale passa un'importante fetta dei commerci mondiali (intorno al 30%).

Strumento di questa contesa sono gli arcipelaghi che costellano il Mar Cinese Meridionale, ovvero le isole Spratly e le Paracelso, che sono state occupate da Cina, Vietnam e Filippine per avere un presidio che possa far valere le proprie rivendicazioni, più o meno giustificate. Per quanto riguarda le Filippine, sull'atollo di Second Thomas Shoal (o Ayungin per Manila), tempo fa è stata portata ad arenarsi una vecchia nave da assalto anfibio di fabbricazione americana e risalente alla Seconda Guerra Mondiale in forza alla marina filippina, per poter essere usata come avamposto per una piccola guarnigione di soldati. Second Thomas Shoal, insieme ad altri atolli contesi come Mischief Reef (occupato dalla Cina) si trova all'interno della Zee filippina ma Pechino non riconosce questo principio generale sull'intera superficie di quel mare, generando così le tensioni che stiamo vivendo negli ultimi anni.

Per dovere di cronaca il medesimo principio non viene rispettato da quasi nessuno dei contendenti, e così anche il Vietnam rivendica la sovranità su alcune isole al di là del limite della propria Zee (che si estende per 200 miglia nautiche dalla costa). L'escalation però è stata innescata da Pechino già da anni, ovvero da quando ha iniziato a militarizzare le isole che aveva occupato o che aveva fatto nascere dal mare artificialmente, nonostante le rassicurazioni del presidente Xi Jinping risalenti al 2015: il leader cinese, durante una visita ufficiale a Washington, aveva infatti affermato che “le attività di costruzione rilevanti che la Cina sta intraprendendo nelle isole Nansha (le Spratly per i cinesi n.d.r.

) non prendono di mira né hanno un impatto su alcun Paese, e la Cina non intende perseguire la militarizzazione”. Quanto accaduto negli anni successivi, con la creazione di porti e aeroporti in cui sono stati posizionati assetti militari, ha di fatto smentito quanto affermato dal presidente Xi Jinping in quella occasione.

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