Piazzare un sistema missilistico di difesa nella regione dell’Asia-Pacifico come ennesimo deterrente da sfruttare in chiave anti cinese. Entro la fine del 2024 gli Stati Uniti vorrebbero concretizzare questa decisione posizionando un lanciamissili a medio raggio in un'area strategica della regione. Non sappiamo quale sarà il Paese che lo accoglierà, né sono state fornite informazioni in merito al nome del jolly militare che intendono calare gli Usa. Potrebbe (il condizionale è d'obbligo) trattarsi del sistema Typhoon, in grado di lanciare sia i missili da crociera Tomahawk con una gittata di oltre 1.600 chilometri che l'intercettore SM-6.
La decisione degli Usa
"Non discuterò di quale sistema si tratti e non dirò dove e quando sarà posizionato", ha dichiarato nei giorni scorsi il generale Charles Flynn, comandante generale dell'esercito americano nel Pacifico, al quotidiano giapponesi Asahi Shimbun e ad altri media presso l'ambasciata statunitense a Tokyo. "Sto solo dicendo che ci sarà una capacità di fuoco di precisione a lungo raggio che arriverà nell'intera regione", ha aggiunto lo stesso Flynn.
Secondo quanto riportato proprio dall'Asahi Shimbun, anche se il Giappone è tra i potenziali Paesi candidati ad ospitare il misterioso sistema missilistico, quest'ultimo sarà probabilmente dislocato a Guam e temporaneamente trasferito in una base militare nipponica per scopi di addestramento. Ricordiamo che il trattato INF (Intermediate Range Nuclear Forces) stipulato tra Usa e Russia nel 1987 – e scaduto nel 2019 - in passato proibiva a Washington e Mosca di possedere missili balistici e da crociera a medio raggio lanciati dalla superficie dotati di una gittata compresa tra 500 e 5.500 chilometri.
Per rispondere ad una ipotetica crisi nello Stretto di Taiwan o nel Mar Cinese Meridionale, gli Stati Uniti intendono adesso fare affidamento su missili in grado di raggiungere obiettivi nemici incastonati nei due teatri citati o nella Cina continentale. Guam è così diventato un luogo strategicamente critico per le operazioni militari statunitensi nel Pacifico occidentale, in primis perché stiamo parlando di un'isola che dista 4.000 chilometri dal territorio cinese. Da questo punto di vista, le unità missilistiche a raggio intermedio potrebbero essere schierate rapidamente dall’isola e dagli alleati asiatici di Washington in risposta a fantomatiche emergenze.
Cosa potrebbe succedere
Fino a pochi mesi fa Giappone e Filippine apparivano riluttanti ad accogliere sui loro territori nuove capacità americane per paura di diventare un obiettivo immediato dell’esercito cinese in caso di crisi. Il presidente filippino Ferdinand Marcos Jr. è stato molto chiaro sul fatto che gli Stati Uniti non utilizzeranno le basi nelle Filippine per operazioni di attacco contro la Cina.
A proposito di Cina, per Pechino una mossa del genere da parte degli Usa equivarrebbe ad una vera e propria provocazione, visto che consentirebbe alle forze americane di schierare missili a pochi passi dal “cortile di casa” del Dragone.
Il quotidiano cinese Global Times, tra l'altro, ha avvertito del pericolo di una possibile escalation militare citando un precedente del 1962: la crisi missilistica cubana. Chissà se durante la loro ultima conversazione telefonica i presidenti delle due superpotenze, Joe Biden e Xi Jinping, hanno affrontato anche questo dossier.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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