
Gli Stati Uniti stanno cercando di accelerare le spedizioni di armi per Taiwan, secondo l'ambasciatore de facto statunitense a Taipei. “Stiamo lavorando attivamente per accelerare le tempistiche di consegna, in particolare per le attrezzature relative alla guerra asimmetrica, poiché ciò è particolarmente cruciale per la difesa di Taiwan”, ha affermato Raymond Greene, direttore dell'American Institute di Taiwan, in un'intervista al Liberty Times, un quotidiano taiwanese. “Se la guerra in Ucraina giunge al termine, ci aspettiamo di tornare a concentrarci sulle esigenze di difesa di Taiwan”, ha aggiunto nell'intervista. Questo passaggio particolare è forse il più chiaro indizio della reale motivazione del subitaneo riavvicinamento statunitense alla Russia, e più ancora dell'effettiva impossibilità degli Usa di poter occuparsi contemporaneamente di due dossier altamente strategici (l'Europa e l'Indo-Pacifico).
Taiwan come sappiamo dipende dal supporto militare degli Stati Uniti per contenere le mire espansionistiche della Repubblica Popolare Cinese che da tempo si è ripromessa di voler portare sotto il suo controllo la democrazia di 23 milioni di persone, e con l'avvento di Xi Jinping lo sta ribadendo in modo molto chiaro, senza escludere l'uso della forza se necessario.
Il flusso di armamenti statunitensi a Taiwan è stato minore negli ultimi anni perché Washington si è concentrata sul sostegno all'Ucraina dopo l'invasione russa: sappiamo che, ad esempio, a Taipei era stato richiesto di cedere a Kiev le proprie riserve di (vecchi) missili “Hawk” in triangolazione con Washington.
Quanto sta accadendo in Europa col disimpegno degli Usa dal sostegno all'Ucraina sta però sollevando interrogativi a Taiwan (così come era successo all'indomani del frettoloso abbandono dell'Afghanistan, peraltro largamente anticipato dalla prima amministrazione Trump) sull'impegno di Washington nei confronti della difesa dell'isola. Soprattutto ha destato qualche preoccupazione (e crediamo qualche mal di testa), la dichiarazione di Elbridge Colby (nominato sottosegretario alla Difesa) secondo cui Taiwan dovrebbe spendere di più per la sua Difesa portando la percentuale di Pil al 10% rispetto all'attuale 2,45% (valore che se fosse comune a tutta l'UE sarebbe un enorme passo avanti collettivo). Insomma a Taipei stanno osservando quello che sembra lo stesso ritornello visto in Europa: “spendete di più altrimenti vi molliamo”, per poi mollare veramente. Per noi europei sicuramente un bene, perché servirà a ritrovare un'unità strategica che mancava, per l'isola minacciata da un blocco navale cinese, molto meno.
Sottolineando la speranza di Taiwan per il continuo sostegno militare degli Stati Uniti, François Chihchung Wu, vice ministro degli esteri di Taiwan, ha affermato la scorsa settimana che Taipei stava “pregando” per legami di sicurezza più stretti. A quanto pare, però, per il momento l'isola può stare tranquilla: proprio lo stesso Colby ha riferito che la caduta di Taiwan sarebbe un “disastro” per gli Stati Uniti, e parla apertamente della possibilità di difendere Taipei in caso di conflitto. Per ora. Perché dovremmo sapere, come il defunto Henry Kissinger insegna, che può essere pericoloso essere nemici degli Stati Uniti ma è fatale essere amici.
La Repubblica Popolare Cinese intanto continua ad andare per la sua strada e ha intensificato l'attività militare intorno a Taiwan negli ultimi anni, con un netto aumento rispetto al passato in questo 2025, forse proprio temendo una politica trumpiana più incisiva in quel quadrante, visto anche quello che sembra un cambio della politica di Washington riguardo l'isola, che da quest'anno viene definita per la prima volta “Taiwan” nel sito
ufficiale del Dipartimento di Stato, ma soprattutto vista la sparizione di alcuni passaggi sul riconoscimento ufficiale di Taipei che potrebbero far presagire un'inversione di marcia sulla politica One China.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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