Il «Divino bastardo»: storia segreta della dinastia che rifondò Roma

Un avvincente saggio di Andrea Carandini ricostruisce, col piglio di un romanzo, le vicende di Re Tarquinio e del suo successore: lo «schiavo» Servio Tullio

Matteo Sacchi
Ci fu un tempo in cui Roma, prima di essere Caput Mundi, fu un'insieme multietnico di tribù, un ammasso di capanne con il tetto di paglia, la cui unica vera ricchezza era un ponte di legno e la posizione felice sul corso del Tevere.
Eppure in questa strana proto città, dove le poche case dei ricchi e i piccoli templi erano frammisti a fetide paludi, già si giocavano i destini d'Italia e, in parte, del Mediterraneo.
Come mai? Facile a dirsi: a differenza che in qualsiasi polis greca o etrusca a Roma il merito poteva vincere il sangue. A Roma «stranieri avevano ottenuto la cittadinanza e addirittura erano saliti al trono», insomma chi rischiava forte poteva giocare le sue carte e vincere.
Ecco perché, correndo l'anno 630 a.C., carri contenenti un ricco tesoro si avvicinano ai colli che saranno fatali. Ecco perché Lucumone e sua moglie Tanaquil, dopo aver abbandonato Tarquinia, attraversano il traballante ponte Sublicio nell'ottavo anno di regno di Anco Marcio. Lucumone che discendeva dall'antica stirpe di Demarato di Corinto (e che quindi per metà elleno) spera di potersi integrare nella cerchia degli oligarchi della città, cosa che, per nascita, tra gli etruschi gli è preclusa. Grazie alle immani ricchezze ereditate dal padre, fuggito dalla grecia con una nave carica d'oro e di artigiani, ci riesce. Diventa il prediletto del re e assume il nome di Lucio Tarquinio (ma alla storia passera come Tarquinio Prisco), e nel giro di sedici anni diviene re lui stesso (la monarchia non si trasmetteva di padre in figlio). Cinta la corona Conduce Roma verso un destino di guerre e di conquista, la grecizza in quanto a divinità.
È questo l'inizio della storia che racconta Andrea Carandini in Re Tarquinio e il Divino Bastardo (Rizzoli, pagg. 172, euro 18), saggio con il piglio del romanzo che ricostruisce uno dei momenti più importanti dell'Urbe arcaica, quella che ha preceduto la repubblica. Carandini, archeologo di vaglia e presidente del Consiglio superiore dei Beni culturali, si concentra proprio sul drammatico passaggio di poteri tra Tarquinio e il suo successore Servio Tullio. Tullio, infatti sarà, il vero artefice di un cambiamento definitivo dei destini di Roma ma, ufficialmente, è solo uno schiavo liberato cresciuto nella casa di Tarquinio. Eppure quando Tarquinio viene ammazzato a colpi d'ascia, in una congiura organizzata dai discendenti di Anco Marcio, il liberto conquista il potere con l'aiuto della regina vedova, Tanaquil.
La storiografia non è mai riuscita a dare una spiegazione esauriente della sua ascesa. Carandini sfruttando i misteriosi affreschi della tomba François ricostruisce, invece, un quadro convincente della vicenda, tutta incentrata sulla mitica nascita di Servio e sulle sue esperienze come condottiero di ventura.

Leggendo si scopre come un bastardo di stirpe reale riuscì a trasformarsi nel figlio di un dio, a sposare la sua sorellastra e a diventare il primo dittatore di quella che sarebbe diventata la Città eterna. Non solo, dalle ombre della storia risorge anche Gneo Tarquinio, il figlio di re che la storia romana ufficiale ha cancellato, a forza, dalla sua memoria.

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