«Sposto la famiglia, iniziamo la guerra»: Luca Lucci e Rosario Calabria parlano, intercettati, della guerra per la droga a Milano. Una guerra che attraversa le Curve, le «piazze» dei quartieri di periferia e arriva fino in Calabria. Ieri il capo degli ultrà rossoneri è stato arrestato di nuovo (si trova già in carcere). Con lui altre 19 persone, di cui 15 in carcere e cinque ai domiciliari. Sono accusate di «appartenere a un'associazione dedita al traffico di stupefacenti», con l'obiettivo di «procurare ingenti quantitativi di stupefacenti da rivedere» a Milano, soprattutto cocaina. Il gruppo avrebbe smerciato più di due tonnellate di stupefacenti, tra cocaina, hashish e eroina. I guadagni in contanti avrebbero superato gli 11 milioni di euro, 2,7 milioni per il solo Lucci in appena sei mesi.
Nel luglio del 2020, come emerge da una delle chat finite agli atti dell'inchiesta della Dda di Milano, con il pm Gianluca Prisco, affidata alla Gdf di Pavia, Calabria, vicino a uomini della cosca di 'ndrangheta dei Barbaro-Papalia, e Lucci progettavano «di organizzare una batteria» armata per «prendere il controllo del mercato di Milano» e per imporre il «monopolio nella vendita dello stupefacente». Lo riporta l'ordinanza di custodia cautelare. «Fra', a me lo dici che nel cervello ho solo guerra», scriveva Lucci a Calabria. E l'altro: «Quattro ferri arrugginiti ci sono... cominciamo a fare danni (...) cominciamo a sparare». Lucci: «Io rido ma ho la rabbia dentro... tutti pagheranno (...) do per scontato che mi arresteranno (...) finché sono fuori faccio casino di brutto». Calabria: «Io ci sono... sposto la famiglia, iniziamo la guerra». Dalle indagini è emerso che Lucci, che aveva appunto contatti con i Barbaro, avrebbe operato soprattutto alla Comasina, mentre alla Barona, altra storica «piazza» di spaccio, avrebbe dominato Nazzareno Calajò, detto «Nazza», di recente condannato a 17 anni e 9 mesi di reclusione sempre per traffico di droga. In questa inchiesta è finito in manette pure Luca Calajò, nipote di Nazzareno. A Lucci vengono contestati episodi di spaccio, per lo più di hashish, e non il reato di associazione per delinquere finalizzata al narcotraffico (che colpisce invece una decina di persone tra i venti arrestati). Il capo ultrà, fra l'altro, si serviva per le consegne «di un soggetto non meglio identificato, indicato come Amazon, evidentemente dipendente della nota società di acquisti online».
Sono inoltre stati colpiti dalla misura cautelare, emessa dal gip Luigi Iannelli, Calabria appunto e Antonio Rosario Trimboli, con legami con il clan Barbaro-Papalia, Roberta Grassi (ai domiciliari), considerata la tesoriera della Curva sud, e Davide Volpe, già finito in altre indagini, e che avrebbe trasportato la droga utilizzato un
doppio fondo di un'auto a lui intestata. Alcuni degli arrestati ricorrevano a un sistema di telefonia criptata per provare ad aggirare i controlli e continuare a garantire «una costante provvista di sostanza stupefacente».
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