E il Prof non parla a Bruxelles Gelo con le istituzioni europee

Rinviato il discorso al Parlamento Ue. Imbarazzo tra i diplomatici. Rapporto più difficile dopo le critiche di Almunia sulla Finanziaria

Alessandro M. Caprettini

nostro inviato a Lione

Coi cinesi ci ha parlato a lungo, ad Ahmadinejad ha voluto dire la sua. Alla Camera ha detto sì su Telecom rinsavendo dopo un colpo di follia e ora ha dato disponibilità pure al Senato. Ma a Bruxelles, no. All'Europarlamento Romano Prodi non ci vuole andare come ha dovuto comunicare ieri un costernato ambasciatore Cangelosi - nostro rappresentante diplomatico presso la Ue - agli uffici di Josep Borrell, presidente dell'assemblea.
Eppure era tutto predisposto da tempo. L'11 ottobre il Professore avrebbe ripreso la strada che ben ha conosciuto per 5 lunghi anni e avrebbe dovuto spiegare in aula la sua terapia contro l'eurosclerosi che si va diffondendo. Non perché avesse presieduto prima di Barroso il governo comunitario. Ma in quanto Borrell, a quanto pare in accordo con la Commissione, sta cercando di individuare il modo per permettere alla Ue di ricominciare a marciare. Si era ipotizzata una sfilata, di qui a fine anno, dei premier di tutti e 25 i paesi (la Merkel è in calendario per metà novembre) in modo che offrissero indicazioni e suggerimenti. Ma il Professore ha detto niet.
Quali i motivi dell'improvviso ripensamento? Dalla sede diplomatica tricolore nella capitale belga ed europea, non trapela granché. Ma a Lione - dove è riunito per tre giorni il «pensatoio» dei Popolari europei, anch'esso alle prese col che fare? - giunge, malizioso, lo spiffero di una marcata irritazione dell'inquilino di Palazzo Chigi proprio con le istituzioni europee che si era vantato di guidare alla perfezione. Pare non gli sia piaciuta affatto l'apertura dell'indagine sull'affaire Autostrade-Abertis. Ancor meno avrebbe digerito le critiche esortazioni di Almunia a stringere i cordoni della borsa. Non ha gradito le critiche della Commissione sul suo auspicio di riaprire il traffico d'armi con la Cina e, da ultimo, si sarebbe fatto l'idea che qualcuno vuole colpire la sua immagine, dopo la risposta della commissaria lituana all'interrogazione dell'azzurro Zappalà, in cui si ammette che Nomisma, presieduta allora da De Castro, ricevette robusti finanziamenti Ue subito dopo che l'attuale ministro dell'agricoltura lasciò l'ufficio accanto al suo per divenire presidente dell'istituto di ricerca.
Insomma il cocktail che lo attendeva a Bruxelles poteva risultare per lui velenosissimo. Anche perché, in un momento in cui tra i 25 si fa strada - tra le soluzioni da prendere - il discorso del mercato interno e della sua liberalizzazione, ecco capitare tra i piedi di Prodi la mina Telecom. A Roma, davanti alla sua maggioranza, potrà sempre confermare di non aver saputo nulla, ma vaglielo a spiegare a inglesi e tedeschi, cechi e greci che le carte mandate da Rovati, da Palazzo Chigi, non le aveva manco sbirciate.
E così il Professore ha scelto il gran rifiuto. No all'intervento nell’aula del Parlamento europeo. Qualcuno nel Ppe già s'indigna.

Da Roma ribatteranno che si tratta di polemiche montate ad arte dall'opposizione - Forza Italia e An in prima battuta che a Strasburgo, la prossima settimana, proprio sul «no» di Prodi si accingono ad attaccare - ma è un fatto che se Berlusconi si fosse rifiutato di andare a dire la sua in aula, cosa si sarebbe detto di lui? Come minimo che stava concretamente pensando a una fuoriuscita dell'Italia dalla Ue...

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