Nel 1978 esce Ecce bombo di Nanni Moretti. È una vera opera d'esordio. Anche se Moretti un film lo aveva già realizzato nel 1976, Io sono un autarchico. Girato in super8 quindi in modo amatoriale raccontava le esilaranti vicende di un gruppo di teatranti improbabili e squattrinati. Dopo una lunga e comica preparazione, riuscivano comunque a portare in scena uno spettacolo inguardabile. Un critico, un critico vero, eruditissimo, Beniamino Placido, alla fine della patetica esibizione, pur dichiarandosi perplesso, sentenziava: «Apprezzo lo sforzo». «E apprezza questa» gli rispondeva Moretti, assestandogli una legnata.
Chi scrive all'epoca saltò sulla sedia di legno del mitico cineclub Filmstudio di Roma. Che felicità! In quel gesto liberatorio si consumava sullo schermo la vendetta di un ascoltatore molestato da elucubrazioni palingenetiche di intellettuali barbuti e impegnati. E di un lettore asfissiato da fogli ciclostilati, giornali, riviste, appelli, saggi. Poi arrivò Ecce bombo. Un punto di svolta del cinema italiano! Un capolavoro! Un'«opera mondo»! Quantomai opportuna è stata la decisione della Cineteca Nazionale di restaurare Ecce bombo (il lavoro è stato eseguito da Sergio Bruno, accompagnato da un interessante dossier curato da Mario Sesti) e di presentarlo a Venezia, ieri.
Quando il film uscì eravamo immersi sino al collo negli «anni di piombo». Sabbie mobili mortifere. Il cielo era oscurato da una cortina pesante, plumbea. Ecce bombo la squarciò di netto. Come ci riuscì? Buttandola sull'ironia. Frullando intelligenza, intransigenza, moralismo e pudore. «Mi interesso di molte cose dice una giovane a un perplesso e accigliato Michele (Moretti) cinema, teatro, fotografia, musica. Leggo». Michele, spazientito, la incalza: «Lavori?». «Mah, te l'ho detto: giro, vedo gente, mi nuovo, faccio delle cose». Michele al telefono poneva una gravosa questione: «Mi si nota di più se vengo o se non vengo per niente?». Quei ragazzi non sprigionavano odio, ma simpatia. Al massimo, sdraiati sull'asciugamano in riva al mare, potevano bucare il pallone ad un malcapitato ragazzino. Tutto qui! Non li capisce nessuno? Ma all'inizio neppure i dadaisti erano compresi.
Un critico fuori dal coro dell'epoca, Paolo Valmarana, su Il popolo, salutò il film di Moretti con queste parole: «Un classico, l'opera di un piccolo maestro che sembra, più di tutti i suoi colleghi, in grado di interpretare e di raccontare la società dei giovani». Il regista romano andò oltre. Continuò a ritrarre la sua generazione nel film seguente Sogni d'oro (1981). Poi capì che doveva allargare l'orizzonte. E realizzò le sue opere più riuscite: Bianca (1984) e La messa è finita (1985). Con Palombella rossa (1989) prese avvio l'involuzione, sino a ruzzolare nell'insensato Il sol dell'avvenire (2023).
Il perché del declino? La politica. Quella politica che in Ecce bombo sfumava nel sorriso, di film in film è diventata ferraglia sempre più pesante. Moretti era il regista perfetto per raccontare la fine dell'illusione comunista, così diffusa nella cultura italiana.
È sbagliato rimproverare un artista per il lavoro non fatto. Ringraziamo pertanto Moretti per averci dato un momento di evasione quando la disperazione ci assaliva. Evviva Michele e i suoi fratelli. Che, pur se separati, in fondo, siamo anche noi.
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