Tampa (Florida) - Stavolta l’Alleanza Atlantica ha davvero alzato i toni nei confronti di Gheddafi e delle sue forze. Per ora il messaggio che arriva da Bruxelles è quello di un monito con valenza politica più che militare. Ed anche se a Shape, il comando delle forze alleate, la pianificazione per i diversi scenari di prosegue intensamente e i Paesi dell'alleanza stanno cominciando a preparare le forze, il Segretario Generale della Nato, Rasmussen, ha precisato che per agire serve prima una decisione Onu, una del Consiglio Atlantico e che al momento viene considerata ogni eventualità. Ma l'attacco Nato non è per domani. Sia il linguaggio, sia la retorica sulle «stragi» (tutte da dimostrare) sembrano ripetere la sequenza che portò la Nato ad attaccare la Serbia nel 1999. E anche in quel caso ci si mosse con intervento aereo e navale. Poi l’intervento terrestre, arrivò dopo 78 giorni di bombe. A guerra finita.
La situazione di stallo militare in Libia rende più probabile che la comunità internazionale sia costretta ad intervenire in qualche modo. Negli Usa i Repubblicani, con John McCain parlano di armare e sostenere i ribelli. Un modo elegante per agire, indirettamente e con costi e rischi minimi. Ma per aiutare gli oppositori di Gheddafi servirebbero mesi. In tutte le capitali si spera che gli oppositori del dittatore prevalgano da soli. Ma gli entusiasmi dei giorni scorsi sono evaporati di fronte alle controffensive e alla prima resistenza più decisa delle truppe lealiste.
In realtà sul campo di grandi battaglie non ce ne sono (ancora) state. Gli episodi militari sono scontri che coinvolgono pochi combattenti e di breve durata. Anche i tanto discussi attacchi aerei sono ben modesti e con risultati davvero non decisivi. Ma questa è la realtà della guerra di Libia. Il peggio deve ancora arrivare. Le forze di Gheddafi sono scalcinatissime, dal 2004 ad oggi hanno ricevuto ben poco, caso mai hanno rimesso in funzione parte dei vecchi mezzi rimasti bloccati da lustri di embargo e mancata manutenzione. Però nel contesto del conflitto interno, le truppe lealiste hanno il vantaggio della qualità del personale e della superiorità dei mezzi. E hanno un sistema di comando e controllo e logistico che per quanto scadente, funziona.
Gli oppositori sono nati ieri. Al Qaida non c’entra nulla, lo zoccolo duro dei combattenti è costituito da ex militari che hanno cambiato bandiera e si sono portati con se le armi prelevate dai depositi e dalle caserme. Il materiale migliore però è rimasto ai fedeli di Gheddafi. Poi i ribelli sono disorganizzati, non hanno un comando. Sono numerosi, finché vincevano facile (cioè avanzavano senza incontrare resistenza) avevano anche un flusso di volontari tanto impreparati quanto entusiasti. Ora che si comincia a sparare davvero e si subisce qualche rovescio locale, c'è più realismo. Le opposizioni devono organizzarsi militarmente, i numeri da soli non bastano. Ed è per questo che un «aiutino» esterno sarebbe gradito, solo che, come conferma la tragicomica missione dei SAS di Sua Maestà, non ci sono interlocutori con i quali dialogare e collaborare. Se i ribelli avanzano verso Sirte e Tripoli devono creare un sistema di supporto logistico che diventa tanto più delicato quanto più si allungano le linee. E tutto questo non si inventa. Le armi di cui dispongono sono le stesse dei loro rivali, solo più vecchie e rudimentali. Non si è visto niente di «strano».
Né dall'altra parte c'è alcun genio militare. Le forze di Gheddafi avrebbero tutto l’interesse a colpire per prime, approfittando della disorganizzazione del nemico, assumendo l'iniziativa e sfruttando ogni successo locale. Invece procedono molto lentamente e non applicano la superiorità militare di cui dispongono. Certo che Gheddafi può contare non solo su mercenari, i quali in genere tagliano la corda quando le cose si mettono male, ma anche su miliziani e truppe fedeli. In questo scenario un intervento militare esterno potrebbe essere risolutivo: le forze di Gheddafi non potevano reggere il confronto con quelle occidentali quando erano al culmine della loro potenza, 20 e più anni fa, figuriamoci oggi.
Ma la Libia è lontana, è «tanta», anche se quella che conta è solo sulla costa e poi, anche una no fly zone, di
complessa realizzazione, non sarebbe risolutiva militarmente. Perché la sorte della Libia si decide a terra, non in cielo. A meno che invece di una no fly zone si faccia davvero la guerra. E il dopoguerra. Kosovo docet.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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