«Elementi jugoslavi hanno inscenato a Capodistria dimostrazioni ostili all'indirizzo di alcuni connazionali che sono attualmente bersaglio di accuse politiche e di intimidazioni intollerabili» si legge nei fogli ingialliti dal tempo indirizzati alla «missione italiana» a Trieste. La data è del 3 aprile 1952 e la firma di Rinaldo Fragiacomo con a fianco il timbro del Cln Istria, il Comitato di liberazione nazionale visto come fumo negli occhi dai liberatori del maresciallo Tito. «I dimostranti (...) lanciano sassi sulle finestre e soprattutto gridano frasi minacciose come a morte e fuori dalla Zona B all'indirizzo di elementi italiani accusati di essere al servizio del C.L.N. dell'Istria» continua l'accorata denuncia dei soprusi titini. Il Cln della penisola si era ben presto reso conto del vero volto di Tito che ha inflitto la pulizia etnica e politica agli italiani con le foibe e l'esodo di almeno 250mila istriani, fiumani e dalmati dopo la fine della seconda guerra mondiale. «Nel rione dei pescatori (di Capodistria, nda) un gruppo di estremisti è penetrato nell'atrio della casa natale di Nazario Sauro - recita la denuncia - distruggendo alcuni cimeli commemorativi». Per il Cln dell'Istria «i gravi episodi verificatisi nei giorni scorsi a Pirano, Isola e Capodistria hanno terrorizzato la popolazione che oramai non è più capace di sopportare (...) violenze e intimidazioni terroristiche da parte jugoslava». La guerra è finita sette anni prima, ma la polizia segreta di Tito, che mobilita i «dimostranti», vuole ripulire definitivamente le città italiane come Capodistria: « (...) hanno letteralmente terrorizzato la popolazione per cui senza esagerazioni allarmistiche possiamo purtroppo prevedere che non solo le famiglie direttamente minacciate ma anche numerose altre emigreranno le prossime settimane a Trieste».
L'11 gennaio 1946 gli antifascisti e democratici con sentimenti patriottici, riuniti in gruppi diversi, fanno nascere il Cln dell'Istria con il compito di resistere allo strapotere ultra nazionalista dei comunisti di Tito e assistere i profughi. Il 5 luglio si rivolgono «ai combattenti e reduci di tutta Italia» puntando il dito contro i giochi internazionali, che alla fine porteranno alla perdita per sempre dell'Istria. «Mentre scriviamo il cuore sanguina (...) e torme di gente smarrita, come animali randagi, sono in movimento da tutte le città dell'Istria nobilissima per sottrarsi agli orrori di Tito», si legge nell'appello che descrive l'esodo.
Il documento è contenuto in una pubblicazione (dal titolo Il Cln dell'Istria), curata da Andrea Vezzà, dell'Associazione delle Comunità istriane erede del Cln dell'Istria, che fa parte della galassia degli esuli in prima fila nel Giorno del Ricordo del 10 febbraio. Ancora più incisivo il documento del 31 gennaio 1946, presentato a Bologna alla Commissione d'inchiesta alleata per la definizione dei confini della Venezia Giulia. Per colpa dei «nuovi padroni» come vengono bollati i titini «è preclusa alla cittadinanza la possibilità di esternare i propri sentimenti di appartenenza alla patria italiana». E ancora «a prova incontrovertibile della totale italianità della cittadina (Isola d'Istria, nda) raccomandiamo di prendere visione degli atti parrocchiali, dell'Ufficio anagrafico, delle lapidi dovunque site».
I patrioti democratici che resistono al nuovo totalitarismo yugoslavo al punto 5 del documento presentato agli alleati scrivono: «Le bandiere eventualmente esposte, bianco-rosso-verdi, denotano la genuina italianità d'Isola. La stella rossa sovrapposta è un'imposizione dell'autorità occupante».- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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