Scantinati, sottoscala, magazzini, cantine sono alcuni dei nomi che chi ha poca esperienza attribuisce ai depositi dei musei che sono, come nel corpo dell'uomo, le interiora. Ovvero organismi vitali, come il cuore, il fegato, i polmoni, il pancreas. Dell'uomo si vede l'involucro, dei musei si vedono le parti esterne che spesso corrispondono al carattere dei direttori.
Non sempre le opere sono nei depositi per necessità. Il caso più clamoroso è quello della Gnam, la Galleria nazionale di arte moderna di Roma che mostra ai visitatori il volto dei suoi direttori, nel caso, e singolarmente, piuttosto direttrici. Con la moderna edificazione la Galleria nazionale, che primamente era nel Palazzo delle esposizioni, fu trasferita nell'attuale sede di via Belle arti, concepita dall' architetto Cesare Bazzani. Il primo vero direttore, all'epoca soprintendente, fu Palma Bucarelli, nominata nel 1941 e resistente fino al 1975. Dopo Margherita Sarfatti la personalità più influente per l'arte moderna italiana. E guida e riferimento dei principali critici del tempo, a partire da Giulio Carlo Argan, infinitamente a lei vicino e autore di commoventi lettere d'amore che ne hanno svelato la condizione umana oltre che culturale. Intorno alla Bucarelli furono Nello Ponente, Giovanni Carandente, Corrado Maltese, Maurizio Calvesi, Giorgio De Marchis. Io li ho conosciuti tutti e, con loro, il successore della Bucarelli, Italo Faldi. Tutti morti. Alla Bucarelli si deve l'allontanamento dall'Ottocento che è parte fondamentale del museo. Il gusto della Bucarelli era il gusto moderno internazionale. Anche nella integrazione dei servizi che oggi sono considerati indispensabili per una struttura museale moderna: sezione didattica, biblioteca, caffetteria, libreria, attività di presentazione di libri, incontri con gli artisti.
I primi depositi cominciano con la seconda guerra mondiale. Per salvare le opere d'arte dai pericoli della guerra in corso la Bucarelli le accompagnò segretamente nel Palazzo Farnese di Caprarola e a Castel Sant'Angelo. Dopo la liberazione di Roma (4 giugno 1944) si poté procedere alla riapertura della Galleria. Seguirono anni di grandi mostre che permisero di conoscere artisti che il regime aveva deciso di nascondere. Nel 1953 si ebbe una grande mostra su Picasso, nel 1956 su Mondrian, nel 1958 su Pollock, nel 1959 vi fu l'esposizione del grande sacco di Burri che destò scandalo, nel 1971 con la mostra di Piero Manzoni Palma Bucarelli rischiò il posto. Nel 1973 giunsero i finanziamenti statali per un ulteriore ampliamento della Galleria, su progetto di Luigi Cosenza, realizzato nel 1988.
Dopo Faldi fu notevole la direzione di Giorgio De Marchis. Nel momento in cui inizia il consumo delle mostre di massa, De Marchis pose l'accento sull'attività espositiva museale come produzione culturale. Le numerose mostre organizzate in quel periodo sono contributi, di notevole impegno, sulla storia dell'arte del Novecento (De Chirico, l'Arte Astratta, Leoncillo), sulla storia del museo e delle collezioni, sulla situazione contemporanea (Arte e critica, 1980 e 1981), anche con le proposte della decisiva collezione Panza di Biumo (1980).
La Galleria ritorna alla guida femminile con Augusta Monferini, dal 1982 al 1994, in continuità con le precedenti conduzioni. Segue la direzione di Sandra Pinto, che veniva dall'esperienza della Galleria d'arte moderna di Palazzo Pitti, con una riorganizzazione razionale delle collezioni, che restituisce rilievo all'Ottocento, immaginando un coordinamento con il Maxxi. Della sua straordinaria impresa non rimane nulla, se non nei depositi, dopo l'arrivo di Cristiana Collu. Non c'è più traccia di Andrea Appiani, di Faruffini, di Tranquillo Cremona, di Camuccini, di Palagi, di Segantini, di Bernardo Celentano. Così non vi è più spazio per i Macchiaioli, come per Domenico Induno, Antonio Fontanesi, Giuseppe Carnovali detto «il Piccio», di Ippolito Caffi, di Michele Cammarano, dei Palizzi e della pittura di paesaggio a Napoli. In deposito anche i veneti come Giacomo Favretto, Angelo Dall'Oca Bianca, Pietro Fragiacomo e poi Lorenzo Delleani, Giovanni Segantini, fino a Giulio Aristide Sartorio, e Vittorio Grassi. Nei depositi anche i divisionisti Armando Spadini e Plinio Nomellini. La rivoluzione di Cristiana Collu ha portato a sospingere la Gnam verso le avanguardie del secondo Novecento, a immagine e somiglianza della direttrice e curatrice.
Naturalmente molto diverso è il caso degli Uffizi in cui il processo impresso dal direttore Eike Schmidt è stato l'opposto. Sono stati restaurati quasi 2000 metri quadrati distribuiti in otto sale dell'ala di ponente, e in 14 sale al piano terra dell'ala di levante oltre ad altre 21 nel piano interrato. Oggi i depositi sono in larga parte occupati dalla collezione degli autoritratti, prima esposti nel Corridoio Vasariano. Il principale deposito degli Uffizi fu invenzione di un altro soprintendente-direttore, Antonio Paolucci, il quale volle il museo della Natura morta, con dipinti degli Uffizi, nella Villa Medicea di Poggio Caiano. È l'antefatto di uno dei desideri manifestati dall'attuale Ministro Gennaro Sangiuliano: «Il 90% delle opere o dei reperti è nei depositi, così come nel resto del mondo: il problema è che in Italia il patrimonio è talmente diffuso che nei depositi dei soli musei afferenti alla Direzione generale sono custoditi circa cinque milioni di opere/reperti, mentre ne vengono esposti all'incirca 480mila Si può pensare a una strategia di lungo periodo che può portare alcuni grandi musei a generare nuovi spazi espositivi, magari anche in altre città, come hanno fatto musei internazionali», ha aggiunto il ministro. «Ne ho parlato con il direttore degli Uffizi e con il direttore del Museo nazionale archeologico di Napoli: alcuni musei per la quantità di reperti che conservano nei loro depositi si possono duplicare. Possiamo pensare agli Uffizi Due o a Firenze o in un'altra città della Toscana, o sul fronte internazionale, come ha fatto il Louvre. Possiamo pensare a un'altra sede del MAN a Palazzo Fuga, dove poter esporre tutti quei reperti che sono nei depositi. Sarebbe un'opera utile».
A continuare la ricognizione, molte notevoli opere non sono esposte alla Pinacoteca di Brera: dall'autoritratto di Boccioni all'Ofelia di Arturo Martini, dalla Samaritana al pozzo di Battistello Caracciolo ai bozzetti di Tiepolo e Giuseppe Maria Crespi, dalla Pietà di Tintoretto ai Pascoli di primavera di Giovanni Segantini.
A Bologna sono nei depositi le opere di Aspertini, Guercino, Cagnacci, Ludovico Carracci, Cantarini, Franceschini, Gandolfi, ma il dialogo con le opere esposte è vivo, in una turnazione favorita anche dalle mostre delle collezioni. Molto ricchi e agibili sono i depositi della Galleria dell'Accademia di Venezia. Per i lavori di allestimento sono temporaneamente non esposte opere di Bartolomeo Vivarini, di Alvise Vivarini, di Andrea Previtali, di Boccaccio Boccaccino, di Benedetto Diana, di Gentile Bellini, di Cima da Conegliano, di Giovanni Gerolamo Savoldo, di Jacopo Bassano, di Jacopo Tintoretto, di Marco Basaiti, di Vittore Carpaccio, alcune stabilmente, alcune in attesa di ricollocazione dopo il restauro.
Insomma i depositi non sono l'inferno delle opere d'arte. Sono, per diverse ragioni e per diverse motivazioni, il fondo per nutrire una idea di museo universale o di tendenza, lo spirito di una collezione o il gusto di un curatore.
Tra i musei che hanno il maggior numero di opere esposte, tra sale e depositi attrezzati, c'è la Galleria Borghese, che valorizza lo spirito collezionistico di Scipione Borghese e anche la sua intuizione di uno spazio per contenere le opere cercate. Tutto quello che è dentro la villa può esser visto anche in fase di restauro.
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