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Ecco perché la libertà di stampa non è assoluta

«La libertà di stampa non è un diritto assoluto». Lo ha detto Silvio Berlusconi, ieri, parlando ai Promotori della Libertà. «Loro invocano la libertà di stampa - ha continuato - come se si trattasse di un diritto assoluto che prescinde dai diritti degli altri. In democrazia non esistono diritti assoluti, perché ognuno incontra un limite negli altri diritti. Questo è un principio delle democrazie liberali».
Ha detto una di quelle cose che dovrebbero essere talmente evidenti alla coscienza di tutti che non si dovrebbe neanche discutere. È uno di quei fondamentali della convivenza democratica basata sul diritto che da secoli regge le ordinate convivenze civili. Eppure, qui da noi, tutto questo suonerà come un’offesa alla democrazia e ai suoi presunti paladini e sentinelle cioè tutti coloro che lavorano del mondo dell’informazione.
Sì, perché in tutta questa vicenda sulle intercettazioni quello che ha più colpito è che nessuno, esclusi pochi tra i quali Piero Ostellino, hanno sottolineato il fatto che pubblicare le intercettazioni, in certi casi, non è l’esercizio di un diritto ma la lesione di un diritto che è quello alla privacy e al giusto processo. Ebbene la discussione è avvenuta tutta come se il diritto a pubblicarle rientrasse, appunto, nel presunto diritto assoluto di libertà di stampa a prescindere dagli altri diritti in gioco. Si chiamano diritti concorrenti che vanno armonizzati tra loro. Tra l’altro non si tratta neanche di diritti minori perché il diritto alla riservatezza e il diritto alle garanzie di segretezza in alcune fasi del processo (coperte non a caso dal segreto istruttorio) sono diritti antichi, sono tra i diritti che hanno visto nascere la nostra stessa civiltà del diritto perché ineriscono direttamente ai diritti di libertà personali sopra i quali non c’è e non può esserci niente se non la legge e lo Stato che li fanno rispettare. Di tutto questo nella discussione che è avvenuta sulla regolamentazione delle intercettazioni e che ha portato all’incredibile sciopero di avant’ieri neanche l’ombra.
Sembrava di assistere ad una discussione di quelle giacobine dell’epoca rivoluzionaria in Francia dove una minoranza illuminata - in questo caso la fantomatica libera stampa - poneva la propria posizione come assoluta, non passibile di critica né di discussione. Come potete pensare di mettere il bavaglio alla libera stampa? Non conta se in questo esercizio di libertà si calpestano altre libertà, cioè non si permette ad altri di esercitare il loro diritto alla privacy, ad una vita riservata e ad un processo dove la fonte delle notizie siano le sentenze e non i proclami sulla pubblica piazza della stampa libera di notizie che dovrebbero - secondo la legge - rimanere segrete o come si dice segretate. Non conta, perché il diritto di informare è prima di tutto. E chi l’ha detto? Se così fosse ha ragione Berlusconi, sarebbe un diritto assoluto.

Ma così non è perché la civiltà giuridica è nata quando sono morti i diritti assoluti. Ma parlare questa lingua, ultimamente, è come parlare una lingua di una minoranza linguistica mentre dovrebbe essere la lingua comune, la koinè di tutti.

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