Il fallimento di Svb negli Stati Uniti, la crisi di Credit Suisse e il suo salvataggio grazie alla fusione con Ubs, i tassi e i rischi sistemici: andiamo verso una nuova recessione? Sul tema ne parliamo con l'economista Andrea Roventini, 46 anni, docente alla Scuola Superiore Sant'Anna di Pisa. Roventini, esperto di politiche macroeconomiche, ragiona con IlGiornale.it sulle prospettive che la nuova crisi possa sfociare in una recessione massiccia.
Professore, dopo il 2008 torna il timore per le banche. Come vede la situazione?
"Vedo il contesto come nel 2008, non si è fatto tesoro degli errori del passato. Dopo il 2008 la regolamentazione del sistema finanziario è stata incerta e incompleta. Basti pensare che la Silicon Valley Bank negli Stati Uniti non era nemmeno indicato come istituto di interesse sistemico pur essendo la sedicesima più grande del Paese".
E sul fronte Credit Suisse?
"Il problema di fondo di Credit Suisse è un sistema che ha permesso a delle banche tanto importanti di poter di fatto arrivare a comportarsi come dei trader piuttosto che come degli istituti finanziari tradizionali. Da questo nascono problemi di sostenibilità di istituti tanto grandi. Credit Suisse ci ricorda che in passato dei problemi simili li aveva avuti un altro player come Deutsche Bank, che non escludo possa tornare in sofferenza".
Che lezione dobbiamo apprendere da questa fase di crisi?
"Due lezioni in particolare. La prima è che una regolamentazione stringente serve, ma deve essere efficace e scritta in maniera semplice. Per fare un esempio, il Glass-Steagall Act del 1933 con cui Franklin Delano Roosevelt introdusse la più stringente regolamentazione delle banche Usa dopo la Grande Depressione era lungo poche decine di pagine, mentre al confronto il Dodd-Frank Act del 2010 voluto dall'Amministrazione Obama per rafforzare la regolamentazione dopo la Grande Recessione arriva a 8mila. Con regole così complesse si rischia di creare una corsa tra regolatori e attori della finanza per eluderle"
E il secondo punto invece?
"Penso alle garanzie ai depositi per evitare una corsa agli sportelli in caso di crisi bancaria. Ma questa problematica è ad oggi una questione che riguarda maggiormente gli Stati Uniti".
In quest'ottica, ci stiamo avviando verso una recessione?
"Navighiamo in acque incerte e preoccupa in particolare modo il fatto che il caso Credit Suisse aggiunga problemi soprattutto per il precedente pericoloso che crea di regolamentazione ex post di una crisi bancaria. Non si può stare sereni quando le crisi riguardano istituti sistemici di tale importanza. Un elemento che sicuramente aggiunge problematicità nel discorso sul futuro dell'economia è il fatto che le banche centrali, specie la Bce, stiano promuovendo continui rialzi dei tassi. Certo, questi tassi alti aumentano sostanzialmente i profitti bancari, ma al contempo non mancano di penalizzare le banche con problemi strutturali".
Anche l'ultimo balzo dei tassi deciso dalla Bce dunque è stato sbagliato?
"Sì, decisamente. L'aumento dello 0,5% è stato troppo netto, sarebbe stata più sostenibile una crescita dello 0,25%".
A questo dato si aggiunge il fatto che lo scoppio della crisi bancaria avviene al culmine di anni di crisi di sistema...
"Viviamo in quella che lo storico dell'economia Adam Tooze definisce policrisi, una fase strutturale in cui diverse problematiche si sovrappongono tra di loro. La pandemia, la guerra in Ucraina, la crisi energetica, oggi i problemi finanziari: tutto converge in una crisi di sistema".
Come giudica che in quest'ottica tra Usa e Europa stia nascendo una sfida di sistema su temi come l'Inflation Reduction Act e il sostegno alla transizione green? Non può fare esplodere altre contraddizioni?
"Su questo punto di vista trovo fuorvianti le critiche dell'Europa agli Stati Uniti solo perché l'amministrazione Biden spinge su un disegno di politica industriale.
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