Apple e la lezione di Dublino a Roma

Succede che la Corte europea sconfessa, in materia fiscale, la decisione della Commissione sul rapporto tra Apple e Irlanda.

Apple e la lezione di Dublino a Roma

Succede che la Corte europea sconfessa, in materia fiscale, la decisione della Commissione sul rapporto tra Apple e Irlanda. Senza entrare nei tecnicismi, come ha scritto bene su questo foglio Carlo Lottieri, la multinazionale americana avrebbe dovuto restituire 13 miliardi di imposte sul reddito che non aveva pagato all'Irlanda, grazie ad un accordo fiscale che a Bruxelles hanno contestato. Il tribunale ha deciso che ciò non dovrà avvenire. L'Irlanda è felice di non incassare un ricco assegno, perché sa bene quanto il suo cliente Apple abbia fatto bene alla crescita della sua economia e della sua produttività: ben di più dei tredici miliardi di imposte non pagate, grazie a trattamenti di favore. La Corte europea ha assolto Apple e Irlanda per, come sarebbe detto un tempo, insufficienza di prove, per questioni formali, più che sostanziali. Altrettanto non è valso, recentemente, per lo spostamento di una finanziaria Fca in Lussemburgo. L'ex azienda di Torino, ha visto perdere il proprio ricorso: anche se, in questo caso, il contenzioso era su 25 milioni di sconto fiscale.

Se mettete da parte per un attimo il comprensibile risentimento per coloro che pagano quasi zero tasse e fanno profitti pazzeschi, la vicenda Apple, dal punto di vista geopolitico insegna una cosa fondamentale.

Gli statalisti vogliono una Europa uniforme nella tassazione senza concorrenza fiscale. I liberisti, come chi scrive, non si scandalizzano per questo trading fiscale. Ma se fossimo banalmente pragmatici, faremmo parte di quest'ultima schiera. Copiamo l'Irlanda. Lottiamo contro i tecnici del Mes, che ad ogni norma italiana di maggior favore fiscale hanno il legalitario e dunque comprensibile timore di infrangere le regole comunitarie. Lottiamo piuttosto per creare aree a fiscalità iper-agevolata. Invece di pretendere che gli altri si mozzino la mano, rafforziamo la nostra. Il «ruling», gli accordi fiscali di Olanda e Irlanda, certo datati nel tempo e dunque oggi meno attaccabili, debbono rappresentare per noi una buona scusa per adottarne di simili.

Il caso Irlanda spiega meglio di qualsiasi libro di testo di come tasse basse, abbiamo aumentato il reddito pro capite (che ora supera quello italiano) e produttività. Ci sono settori interi - dalla logistica al turismo, dall'informatica alla farmaceutica - già presenti in questo paese che potrebbero essere sostenuti dalla medesima mostruosa leva fiscale che ha adottato l'Irlanda. Se dobbiamo battere i pugni sul tavolo, invece di combattere per distruggere sistemi alternativi al nostro e vincenti, copiamoli. Renzi adottò il meccanismo di tassazione favorevole per i ricconi, mutuandolo dall'Inghilterra. E fece bene. Vale per le persone fisiche.

In un momento di riassetti e riaperture a Bruxelles, quanto sarebbe più vincente una posizione italiana che, al posto di chiedere maggiore debito, aspirasse ad attrarre investimenti grazie a minori tasse?

Sarebbe difficile, dal punto di vista politico, pensare che gli intransigenti olandesi contestino all'Italia, ciò che allegramente fanno in casa.

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