Atlantia avvia lo spin-off di Aspi (che sarà così ceduta solo a prezzi di mercato), e rischia di finire in un vicolo cieco. Cdp resta infatti fredda all'ipotesi di entrare nel capitale del gruppo che controlla le autostrade italiane senza l'aumento di capitale riservato, e previsto nei precedenti accordi del 14 luglio. Inoltre, il coinvolgimento del «braccio armato» del governo nella partita sul riassetto di Atlantia (controllata dalla famiglia Benetton e che possiede Aspi all'88%), così come quello di altri investitori, «si complica anche alla luce del fatto che spiega una fonte vicina al dossier - non sia stato fatto alcun riferimento alla manleva a fronte di danni che potrebbero essere richiesti da terzi per le responsabilità sul crollo del Ponte Morandi. Chi può investire con una tale mole di rischi non ponderati?». Rischi, tra l'altro, a carico del risparmio postale.
La gravità della cosa ha spinto Cdp a inviare ad Atlantia una lettera di aut aut. Nella missiva, Cassa dà alla società sette giorni di tempo per accettare le condizioni a suo tempo concordate, principalmente quelle su garanzie e manleva. Viceversa scatterà la revoca della concessione da parte del governo.
Nel dettaglio, ieri il consiglio di Atlantia ha avviato il cosiddetto percorso di «dual track», che prevede la scissione di Aspi oppure la vendita in blocco dell'88% del capitale. Una mossa con la quale la società ha dimostrato di voler tirar dritto di fronte alla stasi della trattativa con Cdp, sfidando una parte del governo, in particolare quella a 5Stelle che non è mai riuscita a imporre la revoca della concessione dell'ex Ponte Morandi, ed ora ha le armi spuntate dalla tornata elettorale.
Sul tavolo, a oggi, ci sono dunque due scenari: la vendita o la scissione che prevede il conferimento rispettivamente del 55% e del 33% del capitale sociale di Aspi nella neo-costituita Autostrade Concessioni e Costruzioni da quotarsi in Borsa con l'uscita di Atlantia dal suo capitale. Le due quote sono state distinte non casualmente perché queste proporzioni erano contenute nella lettera del 14 luglio di Carlo Bertazzo (ad Atlantia) e Roberto Tomasi (ad Aspi) al governo, all'apice della pressione sulla revoca: il 55% all'epoca avrebbe dovuto essere ceduto a investitori istituzionali e per gradi a Cdp che invece, come primo step del percorso, avrebbe sottoscritto il 33% di Aspi in aumento di capitale. Peccato che ora, invece, l'aumento riservato non sia più previsto. «Il nodo resta la manleva, ma anche il prezzo spiega un analista al Giornale perché con questa procedura di vendita Cassa dovrebbe sborsare qualcosa come 4 miliardi per il 30 per cento di Autostrade». Da sottolineare, poi, come gran parte dei punti nevralgici definiti ieri dal cda deve sottostare a una serie di condizioni sospensive tutt'altro che semplici: l'ok al nuovo piano economico e finanziario (Pef), in primis.
Per il 30 ottobre è prevista l'assemblea degli azionisti per esaminare il progetto di scissione. Ma proprio sui tempi dell'operazione il governo incomincia a dare segni di irritazione. «Sono trascorsi oltre due mesi dall'accordo del 14 luglio. Ora basta», attacca il viceministro alle Infrastrutture Giancarlo Cancelleri. «Come nella migliore tradizione a Cinquestelle, anche il dossier Autostrade è destinato a un nulla di fatto, come Ilva, Alitalia, Tav», ha aggiunto il deputato di Forza Italia, Sestino Giacomoni.
Positiva, invece, la reazione del mercato: ieri il titolo ha segnato un rialzo dell'1,58% a 13,86 euro.
Per gli azionisti di Atlantia il piano per uscire da Aspi va bene. «Raggiunge l'obiettivo, come ha chiesto il governo, e fornisce un meccanismo trasparente per fissare un prezzo di mercato equo per Aspi», dice il fondo Uk Lexcor-Capital.
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