Cina sempre più protagonista nello scenario mondiale legato alle auto green, tra elettriche e ibride ricaricabili, con pesanti ripercussioni sui costruttori occidentali, gli stessi che sino a poco tempo fa vedevano in quel mercato una fonte di grande business. La Federazione cinese del settore fa infatti sapere che, nel 2024, le vendite di quel tipo di vetture sono salite del 40,7%, a circa 10,8 milioni di unità, rispetto al dato complessivo di 22,9 milioni, di cui rappresentano il 47% del totale. Su questi numeri, che conferiscono alla Cina la leadership mondiale nei veicoli Nev (a nuova energia), è risultato determinante il maxi sostegno del governo.
E qui tornano a scontrarsi Bruxelles e Pechino. La Commissione Ue, infatti, non riconosce il merito della relazione diffusa dal ministero del Commercio cinese, secondo cui le indagini dell'Unione sulle imprese del Paese, in materia di sussidi statali, costituiscono «ostacoli sleali al commercio e agli investimenti». Dalla Commissione si precisa che «il Regolamento sulle sovvenzioni estere mira a garantire una concorrenza leale tra le imprese e dovrebbe consentire all'esecutivo di porre rimedio a eventuali distorsioni dovute a sovvenzioni concesse da governi non Ue, in quanto tutte le aziende sono soggette alle regole europee in materia di aiuti di Stato, a prescindere dal Paese in cui hanno sede o dalla nazionalità». La replica di Pechino: «Bruxelles ha portato a trattare i prodotti cinesi in modo peggiore rispetto a quelli di altri Paesi, causando perdite per quasi 2 miliardi di euro». Il documento non fa cenno, comunque, a possibili misure ritorsive.
La riflessione di Andrea Taschini, manager automotive e advisor: «Il fattore più rilevante che giustifica i dazi sulle auto elettriche riguarda il sistema valoriale di Pechino che rende le proprie aziende imbattibili nel quadro competitivo internazionale. La regolamentazione sui diritti dei lavoratori, il rispetto dei diritti umani e dell'ambiente, nonché la diversa concezione delle regole del libero mercato, pongono la Cina al di fuori del sistema occidentale. Non si può, infatti, giocare la stessa partita con regole diverse, senza penalizzare gravemente il nostro sistema industriale, provocando in questo modo danni ai lavoratori e alla capacità di investimento delle imprese».
Intanto, tra i big occidentali più penalizzati dal boom delle auto Nev in Cina c'è l'ormai ex locomotiva a marchio Volkswagen: dei 4,8 milioni (-1,4%) di vetture consegnate complessivamente nel 2024, il principale produttore del Vecchio continente, ha visto scendere dell'8,3% il business sotto la Grande muraglia, suo primo mercato, a quota 2,2 milioni. Male i tedeschi anche in Europa (-1,7%). Risultati positivi, invece, negli Usa (+18,4%) e in Sud America (+21,1%). Martin Sander, capo delle vendite, ha addebitato soprattutto «alla crescente concorrenza di Pechino la debolezza del 2024». Una crisi, quella del colosso tedesco, che vedrà il taglio di 35mila occupati entro il 2030 con la riduzione della capacità proprio in Germania. Gli accordi con il sindacato Ig Metall non contemplano chiusure o licenziamenti, ma la situazione resta grave. Anche il management di Volkswagen sarà oggetto del «piano tagli» con la rinuncia, entro il 2030, di oltre 300 milioni, un quinto degli 1,5 miliardi annuali che l'azienda risparmierà sui costi del personale.
A parte i dati negativi in Cina ed Europa
(le vendite di auto elettriche continuano a frenare, insieme ai problemi economici in Germania), anche su Volkswagen pende la tegola delle sanzioni Ue miliardarie per chi non rispetta i nuovi limiti sulle emissioni di CO2.
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