Molti fornitori automobilistici europei, tra cui Bosch, Zf, Continental e Schaeffler, hanno annunciato tagli di 54mila posti nel 2024. La causa: il crollo degli investimenti in progetti di veicoli elettrici per l'indebolimento della domanda. Oltre due terzi dei fornitori, a questo punto, segnalano margini inferiori al livello necessario per sostenere la corsa alle nuove tecnologie. «Se la domanda non riprenderà e l'Europa non riacquisterà competitività, l'ondata di perdite di posti continuerà per molti anni ancora»: a sottolinearlo, nell'imminenza della presa in carico da parte della Commissione Ue del dossier automotive, è Clepa, l'organizzazione europea che rappresenta le aziende della componentistica.
Il 2025 appena iniziato, del resto, non promette nulla di buono e necessita di provvedimenti riparatori urgenti, in primis quello sulle sanzioni Ue fino a 17 miliardi per i costruttori che non rispetteranno i nuovi limiti alle emissioni di CO2. I big cinesi, nel frattempo, restano alla finestra in attesa di opportunità, come quella di acquisire gli impianti tedeschi di Volkswagen oggetto di tagli ai costi.
Intanto, con grave ritardo, a cui si è aggiunta la polmonite che ha colpito la presidente della Commissione Ue, Ursula von der Leyen, da Bruxelles fanno sapere che tra il 27 e il 29 gennaio partirà la discussione - sollecitata da mesi e mesi - sul dossier automotive. Per la presentazione del «Clean industrial deal», a fine febbraio, dovrebbero arrivare le prime risposte. Si cercherà, in questo arco di tempo, di definire un piano di azione industriale per il comparto messo in ginocchio dal green deal, il tutto sotto la supervisione della presidente della Commissione come dalla stessa promesso. Un risultato, questo, frutto del continuo pressing politico, con l'Italia capofila nel confermare l'impegno a sostegno dell'intera filiera automotive.
Pressioni di più Paesi da una parte, grazie anche al «non paper» preparato dal ministro Adolfo Urso e sul tavolo della presidente von der Leyen, e sindacati metalmeccanici agguerriti dall'altra, insieme a una stabilità politica interna precaria, stringono di fatto la Commissione Ue all'angolo. Il 5 febbraio prossimo, infatti, a Bruxelles si terrà una grande manifestazione di protesta organizzata dal sindacato IndustriAll Europe a cui hanno aderito, al momento, le organizzazioni metalmeccaniche di Italia, Spagna, Germania, Belgio, Lussemburgo, Polonia, Slovacchia e Repubblica Ceca. In migliaia sfileranno davanti alla sede della Commissione Ue contro le norme che hanno messo in ginocchio il sistema automotive e gli altri comparti industriali. Questo lo slogan: «Un'Europa resiliente e sostenibile con buoni posti di lavoro nell'industria per tutti». E i costruttori? Dopo aver assecondato il green deal e investito miliardi sulla svolta ideologica del «tutto elettrico», solo da poco si sono accorti dell'effetto boomerang. Acea, con il nuovo presidente Ola Källenius (Mercedes-Benz), ha inviato una lettera alla von der Leyen chiedendo «un piano di decarbonizzazione guidato dal mercato e non dalle sanzioni».
Allo stesso tempo, secondo Källenius, l'Ue dovrebbe incoraggiare i costruttori cinesi ad aprire più impianti in Europa nel quadro di un accordo per l'abbattimento dei dazi sui veicoli elettrici importati da Pechino. Un particolare: azionista forte di Mercedes-Benz è il colosso Geely, che già controlla Volvo, Lotus e Aston Martin. Una richiesta «teleguidata»?
- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
- sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.