Banche, addio cedole Tranquilli solo i soci Ubi, Unicredit e Intesa

Le condizioni patrimoniali imposte dalla Bce rendono difficile la campagna dividendi

Le banche italiane hanno chiesto al mercato una dozzina di miliardi per superare gli stress test europei, ma tra bilanci 2014 in perdita e l'ultimo giro di vite imposto dalla Bce nelle lettere di questi giorni ci sono tutte le premesse per presumere che molti dei loro azionisti resteranno a secco di dividendi.

Secondo alcuni analisti, a dare un assegno corposo in termini di dividend yield potrebbero essere solo Intesa Sanpaolo, Unicredit e Ubi Banca, che hanno già pur con diverse sfumature preso impegni col mercato. È il terzetto che ha passato gli stress test di slancio e che ha già in casa la validazione dei modelli interni, insieme a Monte Paschi (che però è in rosso) e al Banco Popolare, che già a settembre ha iniziato a ripulire il bilancio recependo tra le prime le indicazioni di Francoforte.

Dopo Mediobanca (che ha chiuso il bilancio 2013-2014 a giugno) dovrebbero rispettare le aspettative sul fronte dello stacco cedola, anche Credem (uscito indenne dagli stress test), Popolare Milano e Popolare Emilia Romagna. Per le due cooperative, come per gli altri istituti medio-piccoli, esiste però una incognita in più: devono spesare gli asset rischiosi (Rwa) con le vecchie regole «standard»: norme meno evolute e quindi più voraci sul capitale, con il conseguente impatto sul cuscinetto dei dividendi. Si stima che i modelli interni migliorino il patrimonio in media di 100-150 punti base. Ecco perché è difficile sbilanciarsi in pronostici per i gruppi che hanno superato gli esami di Mario Draghi per il rotto della cuffia. Va da sè che ancora più intricata è la situazione in fondo alla classifica, per le due «bocciate» Mps e Carige. Come detto, ad accrescere l'incertezza contribuisce il diktat contenuto nelle lettere con cui Francoforte, pur non chiedendo ricapitalizzazioni immediate, ha appiccicato a ciascun istituto un coefficiente patrimoniale minimo su misura da rispettare superiore al 7% previsto. Si tratta ancora di bozze, ma l'Europa vuole che le banche eliminino le scorie scoperte con l'asset quality review.

In Piazza Affari potrebbe quindi iniziare un'altra ondata di pulizie di bilancio, sulla falsariga di quella completata lo scorso anno da Unicredit, bruciando i tempi. Il quadro è, tuttavia, dibattuto perché persiste un disallineamento normativo tra il «nitore» contabile chiesto dai tecnici di Francoforte e le regole internazionali: gli Ias imporrebbero di spesare da subito solo i credit file review verificati ma non la loro proiezione statistica sull'intero portafoglio.

Da qui, probabilmente, il braccio di ferro che molte banche italiane stanno ingaggiando con l'Eurotower nei faccia a faccia che precedono il board dei governatori atteso il 4 febbraio per il responso definitivo. La carovana è in pieno svolgimento, ma gli incontri clou restano quelli del Monte Paschi, in agenda domani, e di Carige, atteso per il 22-23 gennaio.

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