Tempesta Venezuela in arrivo sulle Borse internazionali. La decisione del presidente Nicolas Maduro di ristrutturare il debito pubblico del Paese sudamericano ha acceso infatti un'altra spia di allarme sul pannello di controllo dei mercati finanziari, già alle prese con quotazioni al galoppo in Europa e ai massimi storici negli Stati Uniti, malgrado la ripresa economica mostri da tempo più di una crepa su entrambe le rive dell'Atlantico.
Dopo la sforbiciata inferta da Moody's venerdì, ieri sono state Standard & Poor's e Fitch a tagliare a «CC» il rating di Caracas, - preoccupate dalla complessità dell'operazione pianificata da Maduro. Siamo sull'orlo di un crac che potrebbe arrivare a 150 miliardi di dollari, con un'onda d'urto che sopravanzerebbe in magnitudo quella dei «tango bond» dell'Argentina che si era attestato attorno a quota 80 miliardi.
Questo però sulla carta, visto che quello del Venezuela è un crac sostanzialmente annunciato per i mercati. Tanto che al momento non traspaiono particolari preoccupazioni neppure dal fronte del risparmio gestito: «Il Venezuela ha un peso molto limitato sia sui mercati mondiali sia per quanto riguarda la formazione del Pil del Sud America, che resta invece agganciato a Brasile e Messico», ricorda Stefano Mach, gestore di Azimut. «Si tratta di una crisi già in gran parte scontata», concorda Angelo Drusiani, consulente di Albertini Syz e decano del reddito fisso in Italia, rimarcando come «sarebbe molto più grave» l'eventuale default di uno Stato dell'Europa orientale.
Scarsa, a differenze di quanto era accaduto per i titoli sovrani di Buenos Aires, sarebbe anche l'esposizione delle banche del nostro Paese. Molto più complesso tuttavia stimare quanti siano gli italiani che si sono lasciati ingolosire dagli esplosivi rendimenti promessi dai bond venezuelani, che venerdì sfioravano ormai il 40 per cento. «La quasi totalità del debito sovrano di Caracas è in mano a controparti americane ed asiatiche», precisa Drusiani ricordando come i mercati tengano piuttosto gli occhi fissi sul braccio di ferro in corso alla Bce per la fine del quantitative easing tra il presidente Mario Draghi e i «falchi» del rigore tedeschi e sul nuovo corso della Federal Reserve di Jerome Powell.
Resta però il fatto che il «virus» Venezuela contagerà mercati già molto affaticati dalla corsa a slalom tra la stretta in arrivo sui nuovi crediti in sofferenza delle grandi banche europee, i contrastanti segnali macro in arrivo dagli Usa (i salari sono rimasti al palo a ottobre) e i saliscendi del petrolio.
E proprio sul greggio e sui titoli delle big del petrolio, gli esperti si attendono un impatto dal Venezuela anche se a guidare resta la riunione dell'Opec messa in agenda alla fine di novembre con l'obiettivo minino di confermare i tagli alla produzione: venerdì il Wti a New York ha terminato a 55,64 dollari al barile (+2%).Da domani mattina la parola torna a Piazza Affari: negli ultimi sei mesi l'indice Ftse Mib ha guadagnato l'11% (+39,70% da ottobre 2016), la sfida è non fallire il tradizionale minirally di fine anno.
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