Fare la spesa in tempi di pandemia? Costa un occhio della testa. Non solo gel disinfettanti e mascherine chirurgiche, ma anche prodotti di genere alimentare sembrano aver raggiunto un prezzo proibitivo per migliaia di famiglie già fortemente provate dalla crisi economica ingenerata dal coronavirus. Il rincaro non è sfuggito all'Antitrust che, a seguito di numerose segnalazioni, ha deciso di avviare un'istrutturia per scongiurare l'eventualità di azioni speculative durante la l'emergenza sanitaria.
Quali sono i prodotti che costano di più
Arance pagate al prezzo delle gemme preziose e zucchine con un valore di mercato pari a quello dei metalli più pregiati. Se per la spesa prima del Covid bisognava trovare la quadra nel budget mensile, adesso è diventanto un lusso per pochissimi fortunati. Lo sanno bene i consumatori che, nel periodo tra febbraio ed aprile, sono stati costretti a spendere in media il 20/30 per cento di più rispetto al solito. Talvolta, per un carrello contenente appena qualche genere di prima necessità come pane, latte e pasta. Si tratta del conto salato - anzi, salatissimo - della pandemia o di chi ha speculato avidamente sullo stato di emergenza sanitaria. La grande distribuzione, che fa affari d'oro in queste settimane, ha quadruplicato la richiesta di frutta e verdura. E i risultati sono sotto gli occhi di tutti. Il rincaro sulle mele e pere si aggira intorno ai 10 centesimi al chilo, le melanzane sono raddoppiate; le zucchine e i peperoni valgono monili d'argento quando sono reperibili. Per non parlare, poi, delle tariffe stellari di olio e vino o della carne di pollo - uno dei prodotti di largo consumo durante la quarantena - il cui prezzo ha fatto un balzo del 30 per cento rispetto al mese di gennaio. Prezzi esorbitanti anche per igienizzati, prodotti per la pulizia della casa e cura della persona. Tutta colpa del virus?
L'Antitrust avvia una istruttoria
Il sospetto che ci sia stata una speculazione sfrenata è dietro l'angolo. Per questo motivo, l'Antitrust ha avviato un’indagine preistruttoria inviando richieste di informazioni a numerosi operatori della GDO per acquisire dati sull’andamento dei prezzi di vendita al dettaglio e dei prezzi di acquisto all’ingrosso di generi alimentari di prima necessità, detergenti, disinfettanti e guanti, al fine di individuare eventuali fenomeni di sfruttamento dell’emergenza sanitaria a base dell’aumento di tali prezzi. Le richieste di informazioni riguardano oltre 3800 punti vendita, soprattutto dell’Italia centrale e meridionale, pari a circa l’85% del totale censito da Nielsen nelle province interessate.Nello specifico, dalle analisi preliminari svolte dall’Autorità sui dati Istat sono emersi a marzo 2020, per i prodotti alimentari, aumenti dei prezzi rispetto a quelli correnti nei mesi precedenti differenziati a livello provinciale.
Chi è finito nel mirino dell'Autorità
I maggiori aumenti si riscontrano in aree non interessate da “zone rosse” o da misure rafforzate di contenimento della mobilità. "L’Autorità - si legge nella nota pubblicata in data 7 maggio 2020 - ha ritenuto di non poter escludere che tali maggiori aumenti siano dovuti anche a fenomeni speculativi".
Infatti, non tutti gli aumenti osservati appaiono immediatamente riconducibili a motivazioni di ordine strutturale, come il maggior peso degli acquisti nei negozi di vicinato, la minore concorrenza tra punti vendita a causa delle limitazioni alla mobilità dei consumatori, le tensioni a livello di offerta causate dal forte aumento della domanda di alcuni beni durante il lockdown e dalle limitazioni alla produzione e ai trasporti indotte dalle misure di contenimento dell’epidemia.
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