Al Sud i tassi di diffusione del Covid-19 iniziano a crescere e l'emergenza legata alla pandemia inizia a farsi sentire anche nelle Regioni del Mezzogiorno. E sarà compito anche di Giuseppe Provenzano, ministro per il Sud e la Coesione sociale, affrontare la situazione.
Al Sud, il virus è arrivato dopo, con due settimane di ritardo rispetto alle Regioni del Nord. E Provenzano sa che questo rappresenta un vantaggio, che non va sprecato: "Il distanziamento va applicato con la massima cura e intanto dobbiamo ampliare la disponibilità di letti in terapia intensiva- ha rivelato durante un'intervista al Corriere della Sera- A Sud partivamo da quasi 1.700 posti, ora siamo a 2.400 e dobbiamo arrivare al più presto almeno a 3.500".
"Se l'epidemia fosse scoppiata al Sud- ammette il ministro- sarebbe stata un’ecatombe. Non lo dico con sollievo, ma con rabbia. È il frutto del disinvestimento nella sanità pubblica, di alcune degenerazioni regionali, della scelta di puntare sul privato". Ma, un merito alla sanità degli ospedali del Mezzogiorno va riconosciuto: "I malati di Bergamo oggi sono accolti negli ospedali in Sicilia o in Puglia" e tra i medici che hanno risposto al bando per aitare la Lombardia, "moltissim sono del Sud. Tutto il Paese sta dando una prova di responsabilità". E ora, per prepare gli ospedali del Sud al peggio, "stiamo lavorando giorno e notte". Già in settimana, annuncia Provenzano, "dovrebbe entrare a regime l’approvvigionamento di macchinari e andranno distribuiti su tutto il territorio nazionale. Domenico Arcuri, il commissario straordinario, conosce bene le criticità del Sud. Lui rappresenta una garanzia".
Sui problemi legati al lavoro, invece, il ministro specifica: "L'economia meridionale ha una vasta zona grigia di sommerso che ha riflessi anche sull’economia legale". Finora, chiaramente, le misure del governo a sostegno dei lavoratori hanno riguardato "l'emerso". Ma, sostiene Provenzano, "se la crisi si prolunga, dobbiamo prendere misure universalistiche per raggiungere anche le fasce sociali più vulnerabili: le famiglie numerose, oltre a chi lavorava in nero. Non basta la cassa integrazione in deroga per gli artigiani".
Il problema è legato anche a un "divario digitale", che ha permesso ad alcuni lavoratori di adottare lo smart working e ad altri di rimanere senza lavorare. Per le reti internet, ricorda il ministro, erano state fatte "gare al massimo ribasso, con il risultato che l’azienda vincitrice non ha fatto gli investimenti necessari per andare avanti nei tempi previsti. Anche perché il costo di quegli investimenti era più alto delle penali per i ritardi. Ma così si crea il divario digitale e un modello di sviluppo concentrato in alcune aree urbane ad alta densità". Così, ad essere svantaggiati sono "gli abitanti delle zone sfavorite, le aree interne". E questo, "vale per il Sud, come per il Centro-Nord".
E per aiutare l'Italia ad affrontare l'emergenza servirebbe anche l'intervento dell'Unione Europea: "Non pensi di cavarsela solo con le poche risorse della politica di coesione o l’allentamento sugli aiuti di Stato, pur necessario", commenta Provenzano al Corriere. Per uscire dalla crisi, infatti, "abbiamo bisogno di un piano europeo di investimenti coordinato". Ma "oggi l’Europa come vincolo non esiste più. Si è aperta una partita politica nuova e Germania e Italia si trovavano già entrambe in difficoltà prima della pandemia, ma ora una risposta europea coesa diventa davvero essenziale. Fuori dal tempo mi sembrano semmai i sovranisti: gli stessi che non volevano l’Europa, ora protestano perché non ce n’è abbastanza".
Contro le parole del ministro per il Sud, si è schierato Roberto Calderoli, vicepresidente del Senato, che ha dichiarato: "Pensavo di aver viste tutte, ma mi mancava un ministro che chiede allo Stato di sostenere anche chi lavora al nero". E ha aggiunto: "Forse Provenzano lo ignora, ma chi lavora in nero ruba a tutti e usufruisce senza mettere un euro dei servizi finanziati da chi le tasse le paga e quindi ruba due volte". Ma, sostiene Calderoli, "un ministro che afferma cose del genere di certo non penserà mai a dimettersi, questo lo sappiamo, ma il premier Conte può e deve revocargli le deleghe. Se il premier Conte non lo fa allora significa che condivide il pensiero di Provenzano e quindi a dimettersi dovrebbe essere lui".
In giornata è arrivata anche la replica del ministro Provenzano: "Il titolo di un’intervista non fotografa un pensiero", ha precisato in un lungo post su Facebook. E ha aggiunto: "Il lavoro nero è una piaga da combattere, ma esiste e non si affronta solo con la repressione. Come istituzioni abbiamo il dovere di offrire un’alternativa, altrimenti l’alternativa la offrono gli 'altri', nell’illegalità e tra le grinfie della criminalità organizzata". Fino ad ora, ha continuato il ministro, è stata offerta protezione ai lavoratori, ma "tutto questo non copre fasce più vulnerabili della popolazione. Non possiamo fare come gli struzzi, mettere la testa sotto la sabbia. Se si prolunga la crisi, l’impatto economico e occupazionale potrebbe essere persino peggiore di quello della Grande recessione".
E queste misure "potranno servire anche a 'chi lavora in nero', perché anche il sommerso sarà colpito dalla crisi e, per evitare di ritrovarcelo dopo, dobbiamo costruire da subito un’alternativa, prima che lo facciano i nemici dello Stato e della legalità".- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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