Esportare «la Dolce Vita» vale 135 miliardi. Ma il made in Italy, quello di alto livello, può fare ancora di più. Il potenziale stimato è di 217 miliardi, ovvero 82 miliardi in più, un paio di manovre finanziarie. Un tesoretto che - secondo l'analisi condotta dal Rapporto «Esportare la Dolce Vita», realizzato dal Centro studi Confindustria, in collaborazione con Unicredit e con il contributo di Sace, Netcomm e Fondazione Manlio Masi l'Italia può giocarsi per oltre tre quarti nei Paesi avanzati (62 miliardi di euro) e per la restante parte negli emergenti (20 miliardi). Ma non senza una strategia. Secondo lo studio, infatti, il sistema Paese può spingere su alcune leve per favorire una crescita sensibile delle esportazioni del «bello e ben fatto», vale a dire le 3F (Fashion, Food, Furniture) in primis.
Tra le cinque sfide fondamentali: rinsaldare i legami Ue-Usa; spingere Bruxelles a chiudere nuovi trattati di libero scambio e accelerare la diffusione dell'e-commerce; fare in modo che le pmi di subfornitura possano affermarsi con marchi propri, favorire reti e consorzi e continuare, infine, la lotta alla contraffazione. «Insomma, la sfida spiega Barbara Beltrame Giacomello vicepresidente di Confindustria - è capire come trasformare le nostre imprese: rafforzare i canali di vendita digitale, stabilizzare le relazioni internazionali e preservare la riconoscibilità del Made in Italy». In questo quadro, gli Stati Uniti sono il mercato con il più alto potenziale in termini assoluti, 15,5 miliardi di possibile export aggiuntivo. Potenziale elevato anche per Francia, Germania e Regno Unito, che complessivamente valgono 13,7 miliardi. Ma sono anche tra i principali competitor.
La partita più delicata si gioca, poi, nei rapporti con la Cina, primo Paese potenzialmente in grado di dare una accelerazione significativa all'export con 3,9 miliardi. Ma anche grande e difficile rivale commerciale da gestire poiché l'upgrading dei prodotti cinesi è pressante. Ma in Cina nei prossimi cinque anni si avranno 70,2 milioni di nuovi ricchi.
«Se da un lato a trainare la crescita per il prossimo anno
saranno ancora le geografie tradizionali come Stati Uniti e Germania, la quota dei mercati emergenti risulta tuttavia in crescita e presenta ampi margini di sviluppo», ha spiegato Pierfrancesco Latini, ad di Sace (in foto).
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