Le banche hanno l'onere della prova di avere adempiuto agli obblighi informativi nei confronti di un cliente che ha acquistato un prodotto finanziario con la loro intermediazione e questo sussiste «indipendentemente dalla valutazione di adeguatezza dell'operazione». Il principio chiarito dalla Cassazione, è richiamato in una sentenza della Corte d'Appello di Firenze che ha dato ragione a una coppia toscana cliente di Mps, risparmiatori retail, che nel 2011 avevo acquistato bond subordinati della banca per circa 200mila euro. Titoli finiti in seguito sotto la mannaia del burden sharing nel 2017 e trasformati, forzosamente, in azioni. La Corte d'Appello ha riformato una sentenza del Tribunale di Pisa che aveva dato torto in precedenza ai clienti e ragione a Mps.
La sentenza della Corte d'Appello di Firenze (la 1.423 del 2024, presidente Anna Primavera), pubblicata il 6 agosto scorso, ha riconosciuto un risarcimento di 150mila euro circa togliendo l'importo ricevuto con le cedole prima del burden sharing (circa 50 mila euro).
«L'innosservanza dei doveri informativi da parte dell'intermediario - si legge nella sentenza - è in ogni caso fattore di disorientamento dell'investitore, che condiziona le sue scelte di investimento».
Non vale nulla, poi, il fatto che il risparmiatore abbia dimostrato in passato di avere un'alta propensione al rischio «poichè anche l'investitore speculativamente orientato, e disponibile ad assumere rischi elevati, deve poter valutare la sua scelta nell'ambito di tutte le opzioni dello stesso genere offerte dal mercato, alla luce dei fattori di rischio che l'intermediario deve segnalare».
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