«Impossibile». «Può darsi». «Eccola». Dopo tanto negare e dopo tanto sopire, alla fine la recessione si è spalmata sull'eurozona come una maleodorante crema solare. E in fatto di abbagli, in quanto abbacinata dal sole amaro dell'inflazione, la Bce sta in prima fila avendo per mesi recitato il «tout va bien», Madama la Marchesa. Ma non sarà certo la cosiddetta recessione tecnica, per molti un raffreddore passeggero circoscritto a due trimestri consecutivi di decrescita economica, a far cambiare idea a Christine Lagarde e agli svolazzanti falchi di Francoforte. Avanti dunque a colpi di altri rialzi dei tassi da un quarto di punto, il primo da incasellare nella riunione del prossimo 15 giugno, l'altro in quella del 5 luglio. Come da copione, seppur qualche analista si spinga a ipotizzare un'attenuazione dei toni tale da preludere a una postura meno rigida. Di fatto, neppure con il Giant Magellan Telescope si trova traccia di un taglio al costo del denaro.
Eppure il motore dell'Europa dei Ve(n)ti batte in testa. Anche se, come il pollo di Trilussa, la media tende a omogeneizzare un po' tutto, a non distinguere chi ha il fiatone (tipo la Germania) e chi (ancora) sta in piedi (l'Italia). Che dicono, insomma, i numeri? Raccontano che il doppio -0,1% del Pil nel periodo compreso fra il quarto trimestre '22 e il primo di quest'anno ha due colpevoli: la spesa delle famiglie, diminuita tra gennaio e marzo dello 0,3% dopo il -1% di ottobre-dicembre, e la cinghia tirata dalla mano pubblica (-1,6% la spesa da +0,8%). Anche questi due fenomeni rispondono a un copione che non lasciava alcuno spazio per recitare a soggetto. La perdita di potere d'acquisto legata al carovita e i maggiori costi di finanziamento (mutui e prestiti) imputabili alle ripetute strette da parte dell'Eurotower, hanno costretto i consumatori a ritarare il proprio stile di vita. «Primum vivere, deinde philosofari». Traducibile in «fuori il superfluo dal carrello, dentro solo l'indispensabile». Anche perché, poi, a peggiorare la situazione hanno dato un contributo pure i governi con il taglio delle risorse messe in campo per attenuare l'impatto dell'aumento dei costi dell'energia. Braccino più corto (meno uscite, appunto, più occhio sui bilanci), in ossequio alla ruvida moral suasion esercitata a più riprese dalla banca centrale di Francoforte («Rimuovete le misure di stimolo, o sarà necessaria una risposta di politica monetaria più risoluta», cioè tassi ancora più alti).
Nonostante un ciclo economico pieno di tossine, non mancano alcune sacche di resistenza. Nel primo trimestre, la crescita più robusta è stata quella della Polonia (+3,8%) seguita dal Lussemburgo (+2%), mentre l'Italia ha fatto registrare un +0,6% e la Spagna un +0,5%. Sono percentuali che lasciano sperare in una tenuta nel corso dell'anno, ma senza acuti. Proprio a proposito della penisola, l'Ocse aveva infatti parlato qualche giorno di «crescita modesta» nel 2023 e 2024, con il Pil destinato a frenare dal 3,8% del 2022 all'1,2% quest'anno e all'1% il prossimo a patto di non accumulare ritardi nella spesa dei fondi del Pnrr.
Bissare il risultato del '22, che ancora beneficiava dei recuperi post-pandemia, sarebbe peraltro impossibile con tali chiari di luna macroeconomici e con una Germania finora incapace di risollevare la testa (-0,3% nei primi tre mesi).
Le sofferenze di Berlino non sono mai buona cosa per l'Europa e in particolare per l'Italia, se solo si pensa che l'interscambio commerciale con i tedeschi ha sfiorato lo scorso anno i 170 miliardi di euro. La «Schadenfreude», il godere delle disgrazie altrui, lasciamola quindi a chi ce l'ha nel proprio Dna.
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