È una partita da almeno sette miliardi, ma ancora a carte coperte, quella che stanno giocando molti player dell'industria siderurgica sull'ex Ilva. La prima fase si chiusa venerdì notte con «15 manifestazioni di interesse», ha annunciato il ministro Adolfo Urso. Trapela, tuttavia, che altri big player da tempo alla finestra per rilevare il polo siderurgico tarantino, non si sarebbero ancora fatti avanti per giocarsi, in cordata, questa possibilità nella fase due.
Sempre secondo indiscrezioni non sarebbero stati ufficializzati gli interessi di Nippon Steel, così come quello di Arvedi. Confermati, invece, gli ucraini di Metinvest, gli indiani di Vulcan Steel e Steel Mont, i canadesi di Stelco, passati nel frattempo agli americani di Cleveland Cliff. Oltre a Marceaglia e Sideralba che puntano ai tubufici. Più tutta una serie di piccoli player per asset parziali del gruppo.
D'altra parte, solo ora lo scenario industriale e finanziario con l'accesso alla data room diventerà più chiaro e si potranno fare calcoli concreti sull'affare Ilva e suoi suoi debiti.
Lo stesso bando con l'invito a manifestare interesse lo esplicita laddove spiega a pagina 11 che i Commissari Straordinari «si riservano espressamente la facoltà, previa autorizzazione del Mimit, sentito il Comitato di sorveglianza, di ammettere alle successive fasi della procedura di vendita e/o di consentire la formulazione di Offerte Vincolanti anche da parte di soggetti che non abbiano inizialmente manifestato interesse (o, comunque, non abbiano presentato la propria Manifestazione di Interesse nei termini previsti dal presente Invito) o di Cordate che si siano formate successivamente alla presentazione delle Manifestazioni di Interesse». Insomma, i giochi sono tutti aperti. E come fu nel 2017 sarà scontro tra cordate che dovranno avere una grande forza finanziaria per imporsi.
Circa 1,5 miliardi è il prezzo d'acquisto del gruppo, inoltre, gli investimenti previsti nell'arco dell'attuale piano sono pari a circa 1,8 miliardi di euro. Per la svolta verde tra impianti di pre-riduzione e costo per realizzare i forni elettrici si parla di altri 4 miliardi.
Tutto questo, per raggiungere un risultato operativo positivo che non sta in piedi se non legittimato da un incremento dei volumi di produzione fino al break-even: circa 6 milioni di tonnellate all'anno di crude steel. Totale necessario, almeno 7 miliardi.
È quindi da escludere, oltre che per ragioni finanziarie, anche per la portata industriale e strategica del business, che un solo player possa o voglia imporsi sul dossier. Per i commissari sarà nuovamente una delicatissima scelta.
Anche e soprattutto alla luce di quanto avvenuto nel 2017 e che si è rivelato in toto un fallimento. Restano anche per questo in allerta i sindacati che chiedono una presenza pubblica e secondo cui «una vendita a pezzi significherebbe rendere vulnerabili tutti i siti, decretandone la chiusura, a partire da Taranto» .
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