C'era una volta la Silicon Valley Bank, un istituto fondato nel 1983 che fino a ieri si proponeva come il partner ideale per le startup tecnologiche e l'ecosistema dell'innovazione americana. Se ne parla già al passato, perchè le autorità della California hanno deciso di chiudere l'istituto con sede a Santa Clara.
Lo ha annunciato la Federal Deposit Insurance Corp, l'agenzia federale di assicurazione sui depositi. Che ha già creato una nuova banca, la National Bank of Santa Clara, per i depositi e i gli asset di Svb: il nuovo istituto sarà operativo da lunedì per facilitare i prelievi da parte dei clienti.
Svb aveva in pancia 209 miliardi di dollari di attivi, circa 175,4 miliardi di depositi e 6.500 dipendenti. Dopo il maxi capitombolo in Borsa (-60%) il titolo di Silicon Valley Financial Group, capogruppo di Svb, era sceso sul Nasdaq fino a 6,2 miliardi di dollari di capitalizzazione. All'incirca la stessa di Banco Bpm, la terza banca italiana. Negli Usa, Svb era il 16esimo istituto per patrimonio. Ed era molto rilevante nella Silicon Valley, specializzata com'era in servizi finanziari per startup. Nacque quarant'anni fa da un'idea di Bill Biggerstaff e Robert Medearis, durante una partita di poker. La sua storia parla di molte mani vincenti: tant'è che sul sito di Svb si legge che quasi la metà delle società Usa finanziate tramite capitale di rischio nel settore tecnologico e delle biotecnologie erano sue clienti. Il suo business, oltre ai prestiti e ai depositi, era quello di fornire servizi di private banking a miliardari che investivano in startup. Il primo ufficio apre a San Jose quarant'anni fa. Dopo una fusione, nel 1986, due anni più tardi decide di quotarsi in Borsa. L'inizio della fine però arriva all'apice della bolla tecnologica, quando il gruppo ha deciso di parcheggiare 91 miliardi in titoli di Stato Usa. L'esplosione dell'inflazione e la conseguente politica di rialzi dei tassi d'interesse della Fed, però, si sono abbattute rovinosamente sul settore tecnologico. Le condizioni più dure dei finanziamenti hanno fatto sì che le aziende bruciassero più cassa, alimentando il deflusso di liquidità dai depositi di Svb. L'aumento dei rendimenti sui bond ha polverizzato 15 miliardi di valore nel portafoglio di Svb. L'allarme, poi, è scattato giovedì dopo che la società ha rivelato una perdita di 1,8 miliardi su una vendita di 21 miliardi di titoli di Stato. La società ha cercato di recuperare liquidità con un aumento di capitale da 2,3 miliardi, fallito per i timori che non sarebbe stato sufficiente. Tutto è precipitato quando società di venture capital - inclusa Founders Fund di Peter Thiel - hanno consigliato alle loro aziene di ritirare i soldi dall'istituto.
«Svb era una banca con una buona reputazione», spiega Fabrizio Barini, senior banker di Integrae Sim. «Il mercato probabilmente ha reagito così perchè teme che altri istituti meno conosciuti possano fare la stessa fine». Alla base c'è anche un tema di crediti deteriorati, «con aziende che con inflazione e aumento dei costi dell'energia non riescono a far fronte agli impegni». Non sembra però un cigno nero: «Le nostre banche vengono da utili record e hanno outlook molto positivi sull'anno», continua Barini, «l'unico pericolo sarebbe una pesante recessione, ma al momento non si vedono i segnali».
Ieri però erano in rosso i titoli delle banche Ue, Italia compresa tra cui Bper (-4,4%), Unicredit (-3,1%) e Banco Bpm (-2,9%). «In molti potrebbero aver colto l'occasione per prendere profitto dopo la corsa dei bancari», conclude l'analista.
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