«Fabbrica Italia» non esiste più. Sergio Marchionne lo aveva fatto capire il 27 ottobre scorso, in un chiarimento indirizzato alla Consob, e lo ribadisce più esplicitamente ora, rispondendo a una serie di affermazioni preoccupate di politici e sindacalisti sul futuro di «Fabbrica Italia», il progetto annunciato nell'aprile del 2010 teso a rilanciare la produzione del gruppo Fiat nel Paese attraverso investimenti per oltre 20 miliardi.
Nel frattempo, però, lo scenario è cambiato in peggio. Il capo di Fiat-Chrysler lo ha fatto presente lo scorso ottobre alla luce del calo drastico delle vendite di auto in Europa e, in particolare, in Italia. «Il piano prodotto - si legge nella comunicazione del 2011 - è soggetto a costante riesame e revisione, sulla base delle condizioni e degli sviluppi di mercato». E nella stessa occasione, il Lingotto aveva anche annunciato di non voler far più riferimenti a «Fabbrica Italia». Ieri la nuova precisazione, visto che di «Fabbrica Italia» si continua a parlare. «Da quando Fabbrica Italia è stata annunciata - recita la nota diffusa - il mercato dell'auto in Europa è entrato in una grave crisi e quello italiano è crollato ai livelli degli anni '70. È quindi impossibile fare riferimento a un progetto nato due anni e mezzo fa».
Che cosa intende fare ora Marchionne? È chiaro che il top manager, che la settimana prossima rientrerà a Torino dopo la Convention Chrysler di Las Vegas, sta preparando il terreno in vista della presentazione, il 30 ottobre, a questo punto di un vero nuovo piano biennale per l'Italia e l'Europa. I timori sono che nel piano, oltre a un ulteriore ridimensionamento degli investimenti, Marchionne confermi il taglio di un secondo impianto nel Paese. Ipotesi peraltro ventilata, prima delle ferie, al lancio della 500L.
Nel mentre, tutto è bloccato. Non si parla più di nuova Punto (e a Melfi stanno tremando), Mirafiori attende di ricevere la commessa per i due Suv targati Fiat e Jeep, Cassino continua a sfornare modelli di fatto datati (Giulietta, Delta e Bravo) e i lavoratori passano più il tempo a casa, in cassa integrazione, che in fabbrica.
La nota di ieri, comunque, nelle ultime battute lascia intravedere uno spiraglio. Si legge, infatti, che il Lingotto «non dimentica l'importanza dell'Italia e dell'Europa» nel momento in cui ha deciso «di compiere le sue scelte industriali in modo razionale e in piena autonomia, allo scopo di crescere e diventare più competitivo».
Ma forse è venuto anche il momento che Marchionne sveli le sue intenzioni a proposito della sede del gruppo: se mantenerla a Torino o spostarla nel Michigan.
La precisazione della Fiat su «Fabbrica Italia» ha avuto per effetto quello di mettere su un piatto d'argento alla Fiom di Maurizio Landini la possibilità di riaccendere la miccia: «Se Fabbrica Italia rischia di non esserci più siamo di fronte a un problema molto serio. Non aver fatto gli investimenti ha determinato che la Fiat venda meno di altri perché non ha i modelli e, in più, c'è il rischio che in Italia un sistema industriale dell'auto, non solo Fiat e componentistica, salti». Ma anche i sindacati «amici» di Fiat fanno capire di essere preoccupati: «Il gruppo deve rimanere a Torino -dice Roberto Di Maulo (Fismic) -; ora è importante che parta una campagna sui prodotti nazionali». E Ferdinando Uliano (Fim): «Riteniamo indispensabili gli investimenti previsti in quel piano».
Una nota positiva, invece, arriva da Goldman Sachs secondo cui Fiat vale quasi il doppio delle attuali quotazioni in Borsa (ieri +0,42%). Da qui la decisione di alzare il prezzo obiettivo, da 7,8 a 8,5 euro, confermando la raccomandazione «conviction buy». Per la banca d'affari, inoltre, la valutazione di Fiat solo come un produttore europeo è «malposta», dato che dopo l'accordo con Chrysler «ha la minor esposizione dei ricavi all'Europa tra i produttori su cui abbiamo copertura».
- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
- sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.