Fondi pensione: cosa sono, chi ne fa uso e quanto si paga

È un sistema previdenziale pensato per aumentare le entrate di chi va in pensione. Una forma scelta da oltre 8 milioni di italiani. Ecco cosa c’è da sapere

Fondi pensione: cosa sono, chi ne fa uso e quanto si paga

A volte viene chiamato “fondo pensione”, altre volte “rendita previdenziale” o ancora “previdenza complementare”. Nomi diversi ma che significano la stessa cosa: un importo che viene destinato al futuro, pagato ogni mese per goderne quando si andrà in pensione.

Negli ultimi anni lo Stato ha varato diverse riforme del sistema pensionistico e altre sono al vaglio. Il presidente dell’Inps Pasquale Tridico non ha mai nascosto la fragilità delle logiche del sistema italiano, le sue sono considerazioni che suonano come un avvertimento: con il passare degli anni c’è il rischio che gli assegni siano sempre meno generosi, così come è probabile un progressivo ampliarsi dell’età pensionabile, come suggeriscono peraltro i dati sulla speranza di vita media che indicano una popolazione sempre più anziana e longeva. L’equazione secondo cui occorre pagare più pensioni e per più tempo a fronte di un numero minore di lavoratori attivi dà per forza di cose un risultato negativo.

I rimedi

Oltre al sistema pensionistico, ogni lavoratore può aderire a un fondo pensione che alimenterà di tasca propria – secondo le sue possibilità – per goderne in futuro. È un sistema usato in molti Paesi, ad esempio, nella vicinissima Svizzera è chiamato “secondo pilastro” e c’è una legge (Legge sulla previdenza professionale) che disciplina.

Alla fine del 2021, secondo il sito Truenumbers, gli italiani che avevano scelto un simile sistema erano 8,7 milioni, in crescita del 3,9% rispetto al 2020. Oltre ai fondi negoziali, ovvero quelli organizzati dai sindacati e dalle aziende che prevedono un versamento a carico del lavoratore e uno a carico dell’impresa per la quale lavora, ci sono anche i fondi Pip (i Piani individuali pensionistici) e, non da ultimo, quelli che vengono definiti fondi aperti, gestiti per lo più da enti privati (assicurazioni, banche, fondi per la gestione del risparmio, eccetera).

Le agevolazioni fiscali

Chi destina parte delle proprie entrate a una di queste formule di risparmio previdenziale può dedurre dal reddito annuo al massimo 5.164,57 euro. Importante sapere che questo importo include anche la quota parte eventualmente versata dal datore di lavoro. Alcune aziende fanno pervenire ai fondi pensione dei dipendenti delle somme provenienti dai Tfr, in questo caso si tratta di importi non deducibili.

Ci sono dei fondi pensionistici che producono ricchezza, investendo il capitale che amministrano e distribuendone gli utili a chi vi aderisce. Questi importi sottostanno a una tassazione del 20% (quindi di 6 punti percentuali inferiore a quella canonica pretesa dall’erario). La tassazione sui fondi pensione è del 15%, questo vuole dire che quando il lavoratore comincerà a rientrare dei soldi che ha versato, questi verranno tassati in modo diverso dal cedolino Inps. Il tasso del 15% diminuisce dello 0,3% per ogni anno di adesione superiore al 15esimo anno. Così, a titolo di esempio, il lavoratore che avesse aderito da 20 anni a una di queste forme di integrazione pensionistica, pagherebbe il 13,5% (ovvero il 15% a cui si deduce lo 0,3% per 5 anni).

Anche in questo caso c’è però un limite: la pressione fiscale non può essere decurtata oltre il 6%, tasso che supererebbe chi ha alle spalle 35 anni di adesione a un fondo pensionistico. In ogni caso l’aliquota minima applicabile è il 9%, nella quale non sono considerati eventuali rendimenti per i quali, come detto, vige una tassazione del 20% contabilizzata però a parte.

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