Dal pollice verde al pollice verso. Sembra in atto una metamorfosi radicale nella filosofia di Vanguard, il gigante mondiale del risparmio che nella classifica dei patrimoni gestiti è secondo solo a Blackrock. Ma 8.200 miliardi di dollari amministrati sono pur sempre una potenza di fuoco impressionante, con cui far valere il proprio peso sulle decisioni delle aziende in portafoglio. E questa «force de frappe» era stata a lungo usata dal gruppo di Valley Forge per appoggiare cause «green» o, per meglio dire, quelle riconducibili all'acronimo Esg (Environmental, social, governance). Una spinta verso le istanze ambientaliste, tipo la riduzione delle emissione da gas serra, o verso la tutela delle diversità nel mondo del lavoro che ora sta venendo meno. Il colosso guidato da Tim Buckley ha infatti sostenuto quest'anno appena il 2%, contro il 12% del 2022, delle risoluzioni con cui i soci chiedevano alle aziende di intervenire su questioni legate all'ambiente e al sociale.
A conti fatti, quindi, Vanguard non si è praticamente mai schierata. La scarsa propensione a prendere posizione viene ufficialmente giustificata con il numero eccessivo di proposte (dalle 290 di un anno fa sono salite a quota 359), molte giudicate inutili grazie ai miglioramenti apportati all'informativa aziendale. «In alcuni casi - spiega una nota del gruppo - , abbiamo riscontrato che, sebbene una proposta sollevasse un rischio materiale per la società in questione, il consiglio aveva già dimostrato un'adeguata supervisione del rischio e dimostrato la propria supervisione attraverso una solida informativa o aveva messo in atto pratiche che sostanzialmente soddisfacevano la richiesta della proposta».
Ma già nel dicembre scorso, l'abbandono della Glasgow Financial Alliance for Net Zero, la coalizione globale attraverso cui 300 big della finanza intendono accelerare la decarbonizzazione dell'economia, aveva dato il segnale che in Pennsylvania qualcosa stava cambiando. Così come ai piani alti di Blackrock, dove l'infatuazione green sembra ormai passata, visto il sostegno col contagocce offerto alle cause Esg (appena il 7% contro il 22% dello scorso anno).
Una disaffezione che non riguarda solo i due big player del risparmio. Come ricorda Reuters, a metà delle assemblee annuali degli azionisti delle società Russell 3000, il sostegno medio alle risoluzioni votate su questioni ambientali è stato del 25% fino a metà maggio, rispetto al 38% per tutta la precedente stagione.
Alcuni analisti riconducono il fenomeno a due fattori contrapposti: da un lato le critiche rivolte dei conservatori Usa di eccessivo impegno sui temi della sostenibilità; dall'altro, l'accusa sollevata dagli attivisti liberal di far troppo poco per i problemi globali. O forse, in fondo e come sempre, tutto si riconduce alla vil pecunia. In un mondo in cui la guerra Russia-Ucraina ha mandato alle stelle le quotazioni delle aziende energetiche e della difesa, la difesa del pianeta diventa meno impellente perché meno remunerativa nell'immediato rispetto a normali fondi indicizzati.
Lo ha peraltro confessato lo stesso Buckley: «Non possiamo certificare che un investimento basato su criteri Esg sia migliore di un investimento che duplichi l'andamento degli indici». Il green, come il paradiso, può attendere.
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