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I sindacati all'ex Ilva: tradito ogni impegno

Le sigle affossano la gestione Acciaierie d'Italia. Lettera-appello al governo per un intervento subito

I sindacati all'ex Ilva: tradito ogni impegno
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Attacco durissimo dei sindacati alla «poco credibile gestione di Acciaierie d'Italia con una governance a maggioranza ArcelorMittal». E appello unitario al governo per una rapida soluzione che salvi quel che resta del polo siderurgico dell'ex Ilva «prima che la situazione diventi irreversibile». Fim, Fiom e Uilm hanno indirizzato ieri pomeriggio una lunga lettera alla premier Giorgia Meloni e al sottosegretario alla Presidenza del Consiglio, Alfredo Mantovano, nonchè, per conoscenza, ai ministri coinvolti nella vertenza.

La richiesta è quella di avere certezze dopo che, «dalla riunione del 27 Settembre a Palazzo Chigi, non abbiamo ricevuto le risposte auspicate». E non usano mezzi termini nel descrivere lo stato in cui versa il polo siderurgico: «Ricordiamo che la maggior parte degli impianti sono fermi o a marcia ridotta, i luoghi di lavoro sono insicuri, la situazione debitoria è insostenibile, il massiccio utilizzo della cassa integrazione, i bassi livelli produttivi e l'incompleta ambientalizzazione rendono poco credibile la gestione di Acciaierie d'Italia con una governance a maggioranza ArcelorMittal».

Sotto accusa il socio privato di Acciaierie d'Italia, società pubblico-privata guidata da Lucia Morselli (in foto): «Nessun impegno assunto dalla multinazionale è stato mantenuto nei suoi cinque anni di gestione» attaccano. E «nessun impegno - continuano - è stato da voi definito circa il prosieguo di discussione. In questa fase, il confronto con le organizzazioni sindacali è indispensabile per costruire le migliori scelte che diano un futuro di rilancio sostenibile».

A bocce ferme, le sigle sindacali hanno quindi deciso di chiedere audizioni alle commissioni Attività produttive di Camera e Senato; indire per il 16 ottobre presidi nelle Prefetture delle città interessate dall'ex Ilva; proclamare per il 20 ottobre uno sciopero di 24 ore in tutti i siti con manifestazione a Roma. Insomma, il cerchio si stringe intorno a Taranto e una decisione è attesa. Ma, come riportato martedì da il Giornale, il governo starebbe cercando una via d'uscita con difficoltà.

Se la distanza tra i soci (e il disimpegno finanziario) dovesse restare tale, la liquidazione potrebbe essere l'unica strada per sciogliere una sorta di «contratto capestro» che sarebbe stato firmato dalle parti. Contratto che impedirebbe, in questo momento al governo, di far scattare l'amministrazione straordinaria, o di rivedere la compagine azionaria privata, senza incorrere nelle pesanti penali previste dal l'accordo.

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