I conti non tornano a Wolfsburg. Il gruppo Volkswagen è quello che spende di più, a livello percentuale sulle vendite, in costi del personale. L'incidenza del costo della manodopera sul fatturato in Volkswagen è scesa dal 18,2% del 2020 al 15,4% del 2023, rimanendo ugualmente ben sopra quelle di Bmw, Mercedes-Benz e Stellantis, che nel 2023 hanno speso tra il 9,5% e l'11 percento. Numeri dietro i quali si annidano buona parte dei problemi di Volkswagen, sfociati nel drastico piano di tagli per complessivi 17 miliardi, che comprende anche la decurtazione del 10% degli stipendi e una revisione del sistema dei bonus.
A ridosso del terzo round di trattative tra l'azienda e i sindacati, che si terrà oggi, è arrivata la controproposta dei rappresentanti della forza lavoro per evitare la chiusura di stabilimenti e i conseguenti licenziamenti. Il potente sindacato IG Metall avanza un piano di riduzione del costo del lavoro da 1,5 miliardi che poggia sul rinvio dell'aumento del 7% degli stipendi e sulla rinuncia temporanea a parte dei bonus. Il tutto a fronte di un minore orario di lavoro per ovviare alla sovracapacità in alcuni stabilimenti. IG Metall e il consiglio di fabbrica chiedono però in cambio garanzie assolute a livello occupazionale e nessuna chiusura di stabilimenti in Germania.
Un tentativo di mediazione che lascia comunque le posizioni molto distanti. Difatti, dal quartier generale di Wolfsburg accolgono con favore l'apertura dei sindacati a misure riguardanti i salari, ma allo stesso tempo fanno trapelare che non si può escludere la chiusura di uno o più impianti.
Di certo, il livello di tensione è molto alto. Thorsten Groeger, negoziatore del sindacato IG Metall, ha paventato un «conflitto sociale di dimensioni senza precedenti in Germania» se Volkswagen non tornerà indietro sui suoi passi.
La crisi dell'industria automotive ha indotto a contromisure dolorose anche Ford. Il gruppo di Detroit ha annunciato ieri circa 4mila licenziamenti in Europa, pari al 14% della sua forza lavoro nel Vecchio continente, adducendo come principale causa la debole domanda di auto elettriche e gli scarsi sussidi governativi alla transizione. I tagli sono previsti entro il 2027 e riguarderanno principalmente Germania (2.900 posti in meno) e Gran Bretagna (800).
«Il
problema è in Europa e nelle folli regole che ha imposto alle proprie imprese e al proprio lavoro», ha rimarcato a riguardo il ministro delle Imprese e del Made in Italy, Adolfo Urso, nel corso del question time alla Camera.
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