L'ad di Sea Brunini: "Il Covid ha bruciato 180 milioni, a rischio investimenti e occupazione"

Il ceo degli Aeroporti di Milano: "Prima della pandemia i gestori aeroportuali erano in grado di autofinanziarsi, ora i nuovi progetti virtuosi sono fermi. Il governo inserisca gli scali nei piani del Recovery Fund o alla ripresa l'Italia perderà la competitività conquista negli ultimi anni"

L'ad di Sea Brunini: "Il Covid ha bruciato 180 milioni, a rischio investimenti e occupazione"

Il costo del Covid è pesante per gli aeroporti di Milano, Malpensa e Linate, colpiti dalla crisi globale del trasporto aereo con il crollo di voli e passeggeri e una ripresa lenta e difficile. Il conto a fine anno è stimato in circa 180 milioni di euro di cassa “bruciati” perché rimasti paerti con scarco traffico e costi alti. A fare il punto della situazione è Armando Brunini, ceo di Sea Aeroporti di Milano, nel corso di un intervento durante l'incontro "Italia 2021 - Competenze per riavviare il futuro, le infrastrutture", organizzato da PwC Italia.

“Con il Covid in 24 ore ci siamo trovati in una situazione che ci ha cambiato il mondo come Sea e come sistema infrastrutturale aeroportuale italiano che negli ultimi dieci anni avevano recuperato il gap rispetto al resto dell’Europa sia per condizioni di mercato favorevoli sia per un quadro regolatorio che consentiva di autofinanziare gli investimenti. Il traffico aereo è cresciuto mediamente del 4% all’anno con un Pil stagnante e i gestori aeroportuali sono stati in grado di cogliere la sfida della crescita del traffico passeggeri migliorando anche la qualità dei servizi tanto che il giudizio medio degli aeroporti italiani è passato da un 3,4 su 5 di 10 anni fa a un 4 su 5 in epoca pre-Covid. Il sistema delle concessioni ha funzionato, sono stati fatti molti investimenti”.

“Poi è arrivato il Covid e noi con -70% di traffico cumulato nell’anno a settembre mentre a ottobre stiamo viaggiando a -75% con la ripresa della crescita della pandemia, ora non siamo più in condizione di autofinanziarci e di continuare a investire come prima - ha aggiunto -. Siamo in una situazione di grave crisi, il sistema aeroportuale da’ lavoro da lavoro a circa 30mila persone, cioè 100mila famiglie. Un 10% sono nostri dipendenti il resto è legato all’indotto. Oggi stimiamo che circa il 50% di questi o ha perso il lavoro o è in cassa integrazione e con i tempi lunghissimi che che si prevedono per il ritorno alla normalità pre Covid del settore, la Iata stima fra il 2023 e il 2025, e c’è il forte rischio per l’occupazione”.

Per questo le società di gestione aeroportuali chiedono l’intervento del governo - che per ora ha solo allungato le concessioni di due anni - con una visione di politica del trasporto aereo incisiva e in grado di accompagnare la ripartenza che Armando Brunini non ha mancato di rimarcare dopo l’intervento del ministro dei trasporti Paola de Micheli: “Da un lato c’è stata un’apertura perché emerge la consapevolezza che non esiste solo il problema di Alitalia e delle compagnie aere ma anche quello del sistema aeroportuale, infrastruttura fisica del trasporto aereo in Italia e questo quindi e questo lascia ben sperare”. Ma il ceo di Sea ha detto di “non condividere il punto in cui ministro De Micheli sostiene che i concessionari sono società private e quindi non possono accedere al Recovery Fund” perchè l’asset, l’infrastruttura, è dello Stato e sarebbe un’occasione persa non includere gli aeroporti nei progetti del Recovery Find, mentre in anni passati sono stati finanziati investimenti con i fondi strutturali europei.

“Stiamo tagliando il più possibile gli investimenti mantenendo quelli sulla sicurezza, la manutenzione, la compliance normativa. Il problema è che i tagli riaguardano quelli previsti, virtuosi e già in fase avanzata di progettazione per la riconversione ecologica, la digitalizzazione, la smart security, il controllo dei flussi di passeggeri in maniera touchless - ha sottolineato Brunini -. Sea ad esempio sta sperimentando il sistema face boarding per cui non c’è bisogno di presentare il biglietto perché viene riconosciuta la faccia del viaggiatore. Si tratta di investimenti ritenuti fondamentali a livello europeo dal Next Generation e Recovery Fund. Fra pochi giorni ci arriverà un turbina che costa 13 milioni di euro e ridurrà del 70% l’inquinamento per produrre energia elettrica per il caldo e il freddo, oggi non potremmo acquistarla come non possiamo avviare il progetto di riconversione all’elettrico di tutto il parco mezzi degli aeroporti che costa 70 milioni di euro”.

“Al governo non chiediamo risorse per fare nuovi terminal, piazzali e piste, per qualche anno non ce ne sarà bisogno. Quello che vogliamo fare sono quegli investimenti virtuosi che ci tengano al passo con il mondo cogliendo la sfida della sostenibilità - ha spiegato ancora Armando Brunini -. Il rischio per noi e per gli altri aeroporti è quello di tornare indietro rispetto a quei Paesi, la Germania ha stanziato 1,3 miliardi di euro per il settore aeroportuale, che investiranno sull’asset infrastrutturale del Paese non sugli asset privati e torneranno ad avere performance migliori delle nostre. L’Italia perderà l’occasione di mantenersi allo stesso livello dell’Europa con le sfide da affrontare, dalla conversione ecologica alla digitalizzazione”.

“L’aeroporto del futuro non sarà così come lo conosciamo oggi: sarà a digitalizzazione diffusa, si entrerà nel terminal con un passaporto sanitario, un q-code e basterà il riconoscimento facciale.

Per assare dal check-in alla security al gate, ai controlli sanitari non servirà altro. Sea tra pochi giorni presenterà, prima in Italia, nuove macchine di sicurezza dove non ci sarà più bisogno di togliere i liquidi e i computer dal bagaglio a mano. È un esempio concreto di dove si sta andando”.

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