Domenica mattina appena trascorsa. Di buonora, come sempre del resto, sono alla prima pagina di questo quotidiano. Il titolo d'apertura mi sorprende, lo avverto come un piacevole refolo di speranza: ecco il piano contro la burocrazia. Il piano è quello del governo, il cui testo vedrà a breve il doveroso passaggio in Consiglio dei Ministri. L'articolo spiega che il piano insisterà su semplificazioni e più digitalizzazione per rendere agile il sistema. Un sistema, a dir poco, anchilosato da una vita.
Nel nostro Paese la burocrazia è, storicamente, il muro di gomma che getta nello sconforto cittadini e imprese. Anni fa mi venne di coniare il termine peggiocrazia proprio per dare conto dell'estrema gravità del problema: un tappo sull'economia reale davvero insopportabile. Riconosco che non sia facile prendere di petto la questione. È come se la burocrazia intesa nel suo significato più deteriore quello che ci fa cadere le braccia fosse un'entità superiore, impossibile da comprendere. Arrivo a dire che tra le vittime di tale meccanismo perverso vi siano gli stessi professionisti che quotidianamente si occupano per lavoro delle incombenze che afferiscono alla burocrazia. Anche loro rimbalzano su quel muro di gomma. Nel tempo la politica ha provato ad occuparsi di questo rompicapo. Con risultati deludenti. Come a dire che le buone intenzioni in sé non sono mai la soluzione dei problemi. Quando si parla di peggiocrazia significa scontrarsi con un deficit strutturale. La tattica dei pannicelli caldi è un tentativo inefficace in partenza. Lo dice la storia. Una storia ostile alla virtù della semplificazione.
E se non si semplifica tutto diventa molto complicato, improduttivo. E le complicazioni sono la malapianta dell'economia reale. Dunque, ben venga il piano governativo contro la peggiocrazia. Abbiamo bisogno di concretezza, di riforme radicali.
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