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L'Ilva: entro quattro giorni fermeremo anche Genova

L'Ilva: entro quattro giorni fermeremo anche Genova

GenovaNessuna marcia indietro. L'Ilva ha deciso di proseguire sulla strada della chiusura per i suoi stabilimenti dopo la complessa vicenda giudiziaria che riguarda gli impianti di Taranto. E lo farà già nei prossimi tre, quattro giorni. A confermarlo, ieri dopo un vertice tra sindacati e azienda, è stato il segretario provinciale del sinsacato Uilm, Antonio Talò: «L'azienda ha ribadito che, a seguito del sequestro dei prodotti finiti, ci saranno presto ripercussioni anche sugli altri impianti italiani ed esteri. I primi a fermarsi saranno quelli di Genova e Novi Ligure». In ballo ci sono 1.500 posti di lavoro, oltre a 1.428 operai dell'area di Taranto che saranno messi in cassa integrazione fino al prossimo 31 gennaio.
Una doccia gelata soprattutto per i dipendenti dello stabilimento genovese di Cornigliano dove lavorano 1.800 persone, delle quali almeno mille a rischio di perdere il posto. Solo qualche giorno fa erano stati rassicurati dai sindacati di un piano che avrebbe garantito occupazione per tutti almeno fino al 7 gennaio, in attesa che nuovi materiali arrivassero dal Sud visto che a Genova si lavorano a freddo i laminati prodotti in Puglia. Ieri Francesco Grondona, delegato della Fiom genovese, continuava ad assicurare che «ai lavoratori e ai rappresentanti sindacali dell'Ilva di Cornigliano non sono arrivate comunicazioni riguardanti la fermata degli impianti. Da una ricognizione con l'azienda è stato calcolato, invece, che ci sono scorte di materiale da lavorare fino al 20 dicembre e facendo leva su festività e contratti di solidarietà, con la manutenzione ordinaria si arriva fino al 7 gennaio». La posizione attendista del sindacato più rappresentato in fabbrica ha il suo perno nella speranza che la nuova versione del decreto «salva Ilva» possa essere convertita in legge in tempi brevi (martedì sarà in aula alla Camera) e blocchi, di fatto, le decisioni assunte dal gip di Taranto, Patrizia Todisco, che ha negato il dissequestro del materiale semilavorato accumulato sulle banchine portuali. Nella sostanza, con il decreto si consente allo stabilimento di Taranto di avere sia la disponibilità degli impianti sia la garanzia della continuità produttiva, grazie a un emendamento del governo che consente la commercializzazione dei prodotti finiti, anche antecedenti all'entrata in vigore del decreto stesso. E ieri, a margine dell'esame del provvedimento da parte della commissione Attività produttive alla Camera, il ministro dell'Ambiente, Corrado Clini, aveva detto che le modifiche al testo «migliorano in maniera più esplicita la componente salute: la direzione è quella buona».
Ma si vive un momento di insicurezza anche nello stabilimento piemontese di Novi Ligure, dove sono 800 i dipendenti in attesa di conoscere il futuro.

«Se passerà la modifica - ha detto Moreno Vacchina (Rsu) - si potrà tirare un sospiro di sollievo per qualche tempo, perché dovrebbero così ripartire da Taranto i rotoli di materiali già finiti destinati ai vari stabilimenti tra cui il nostro per la lavorazione. Ve ne sono, fermi a Taranto, per quanto sappiamo, un milione e 700mila tonnellate».

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