L'Opec dà una stretta choc al petrolio

Produzione tagliata di 1,5 milioni di barili al giorno. Ma la Russia dice di no

L'Opec dà una stretta choc al petrolio

A mali estremi, estremi rimedi. Abituati in passato a tenere in ostaggio le economie industrializzate, i Signori del petrolio sono ora prigionieri del rarefarsi della domanda di energia a causa del coronavirus. Così, a Vienna, l'Opec ha messo ieri sul tavolo una misura da contro-choc con l'intento di sostenere i prezzi del greggio: a partire dal secondo trimestre, taglio brutale alla produzione di 1,5 milioni di barili al giorno. Un sacrificio auto-imposto che non ha precedenti nella storia.

Capeggiato dall'Arabia Saudita, il Cartello ha tuttavia inserito una conditio sine qua non: la decisione sarà ratificata solo se l'Opec+, composto dalla Russia e da altri 10 Paesi, accetterà di collaborare allo sforzo, facendosi carico di una riduzione di mezzo milione di barili. Tutto liscio? Non proprio. Nonostante la collaborazione fra le due sponde petrolifere abbia portato dal gennaio 2017 a sottrarre quotidianamente dal mercato qualcosa come 2,1 milioni di barili, cementando così un'intesa resasi necessaria dopo la caduta al di sotto dei 30 dollari del greggio, questa volta Mosca sembra fare orecchie da mercante. Alcune fonti riferiscono che i russi hanno già respinto al mittente la proposta saudita, con il ministro dell'Energia, Aleksander Novak, che avrebbe abbandonato la riunione prima della sua conclusione. La posizione russa sarebbe questa: meglio estendere l'attuale contingentamento dell'output, piuttosto che dare il semaforo verde a un'ulteriore riduzione. Ancora nulla di ufficiale, però. Solo oggi il Cremlino scoprirà le carte, nonostante Vladimir Putin abbia già detto di considerare «adeguato», così come la Libia e il Tagikistan, il livello attuale dell'offerta.

Se la spaccatura verrà alla luce, è prevedibile che i mercati non tarderanno a reagire. Già ieri le quotazioni di Brent (-0,6%, a 50,83 dollari) e Wti (-0,34%, a 46,62 dollari) riassumevano lo scetticismo legato alla possibilità di siglare un accordo di tale portata. In prospettiva, il venir meno del collante fra i due macro-poli petroliferi rischia però di creare ulteriori crepe nei prezzi e di mettere entrambi in una posizione di debolezza.

Il problema nasce da una differente percezione di quanto l'epidemia sottrarrà alla domanda globale. Non essendo certa né la durata, né l'estensione geografica del Covid-19, ciascuno fa i conti in base alle proprie stime. La Russia è sicura che il calo non supererà i 200mila barili al giorno, ma è una convinzione contraddetta da più parti. Nella sola Cina, secondo l'Oxford Institute for Energy Studies, la sete di petrolio crollerà nel primo trimestre di almeno 500mila barili al giorno.

E, sempre più spesso, le analisi convergono sull'ipotesi che il 2020 faccia registrare, per la terza volta nella storia, una contrazione annua della richiesta petrolifera. Anche Goldman Sachs ha dovuto far retromarcia: crescita negativa di 150mila barili al giorno quest'anno, contro un aumento di 1,1 milioni previsto prima che un virus cambiasse faccia al mondo.

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