Le Nazioni Unite scendono in campo contro il greenwashing e prospettano regole chiare per invitare attori privati e pubblici ad agire concretamente per evitare di guastare la corsa della finanza e dell'economia verso la sostenibilità.
Nella giornata odierna il gruppo di esperti di alto livello delle Nazioni Unite chiamato a portare chiarezza e trasparenza su cosa vuol dire impegnarsi a raggiungere l’obiettivo delle emissioni zero per gli attori non statali (città, regioni, aziende e istituzioni finanziarie), e quindi su come combattere il greenwashing, ha pubblicato le sue raccomandazioni in sede Cop27 de Il Cairo. I documenti in questione, che ilGiornale.it ha potuto visionare in anteprima, sono stati redatti sotto la supervisione di Catherine McKenna, ex Ministro dell'Ambiente nel governo canadese di Justin Trudeau.
Il gruppo di consulenti delle Nazioni Unite per la definizione della corsa al Net-Zero è partito dal presupposto che se da un lato il cambiamento climatico è una minaccia moltiplicatore, dall'altro sforzi ben progettati per mitigarlo possono essere un moltiplicatore di soluzioni, migliorando la sicurezza alimentare ed energetica, conseguendo una crescente equità e contribuendo alla convenienza tra i popoli. È anche chiaro che grandi differenze tra Paesi sviluppati e in via di sviluppo rimangono termini di accesso alla finanza pubblica e privata, tecnologia e dati. Paesi meno sviluppati, piccoli stati insulari in via di sviluppo, Paesi africani, Paesi senza sbocco sul mare, economie a reddito medio e persino le economie emergenti affrontano tutte sfide specifiche. Essi devono essere riconosciuti e pienamente affrontati. Alle economie avanzate è affidato il compito di accelerare la corsa alla decarbonizzazione combattendo apertamente il greenwashing, che rischia di danneggiare la risoluzione di tali sfide e di inquinare la corsa della finanza a una crescente sostenibilità.
Il gruppo della McKenna ha dunque promosso un piano di dieci raccomandazioni che l'Onu farà proprie per dare una precisa definizione di greenwashing e combatterlo sul campo. In primo luogo, propone di far sì che i piani climatici a livello aziendale e istituzionale debbano essere riconosciuti proprietà intellettuale dei leader di un'azienda o di un'istituzione e riflettere la loro responsabilità nell'azione.
In secondo luogo, per evitare di cadere nella trappola del greenwashing si propone che un piano climatico a livello aziendale debba essere abbastanza veloce da evitare il rilascio di gas serra in modo da soddisfare i requisiti per limitare il riscaldamento della Terra a 1,5 gradi. Ciò significa molte più ambizioni a breve termine e maggiori focalizzazioni sul primo target Onu, il 2030, rispetto a quello più elusivo del 2050.
In terzo luogo, ogni azienda che vuole dichiararsi sostenibile dovrà ridurre l'acquisto di certificati che "compensano" le emissioni invece di ridurre e, se utilizzati, essi dovranno essere attendibile e emessi da una fonte affidabile e verificabile.
Quarto punto, bisogna far sì che i piani climatici e le relazioni annuali sui progressi compiuti devono avere dettagli sufficienti per essere controllati e verificati da altre parti indipendenti. Questo si lega chiaramente al quinto: qualsiasi azienda o regione che fissi l'obiettivo di zero emissioni nette non può sostenere l'esplorazione di nuove forniture di combustibili fossili.
Qualsiasi attività di lobbying deve essere a favore di un'azione positiva per il clima, non contro l'azione per il clima. La retribuzione dei dirigenti e le spese in conto capitale dovrebbero essere collegate a piani di azzeramento netto. Questo versante di governance rappresenta il "sesto comandamento" contro il greenwashing.
Settimo punto: le aziende e le istituzioni pubbliche che sfruttano più intensivamente il suolo devono garantire entro il 2025 qualsiasi rimozione delle foreste che causano venga fermata.
Tali prescrizioni puntano all'ottava regola: le imprese e le regioni con piani climatici devono riferire sui loro progressi nella riduzione effettiva delle loro emissioni, con sufficiente dettaglio e rigore.
In senso globale, lo zero netto non funzionerà senza un flusso sufficiente di denaro verso i Paesi in via di sviluppo. Ciò dovrebbe riflettersi nei piani dei bilanci pubblici e privati di sostenibilità, e questa è la nona raccomandazione.
A partire dagli emettitori aziendali ad alto impatto, è necessario sviluppare e implementare regolamenti e standard per garantire che le regole di base dell'economia siano progettate per ridurre le emissioni nette a zero: questa decima e ultima prescrizione riassume tutte le altre e segnala perché il modello di riferimento dell'Onu è, in questo caso, l'Europa. L'Ue è stata la prima istituzione, con la tassonomia green, a fornire un modello per decidere cosa è "verde" e cosa no. Inoltre, è l'organizzazione internazionale più attiva contro il greenwashing. Secondo gli Orientamenti per l'attuazione/applicazione della direttiva 2005/29/CE sulle pratiche commerciali sleali, se le “dichiarazioni ambientali" o "dichiarazioni verdi" sono false, allora si può parlare di greenwashing, “ovvero marketing ambientale fuorviante”. Questo avviene quando le aziende nascondono i loro comportamenti anti-ambientali sotto slogan, dichiarazioni e dati di sostenibilità.
Una sostenibilità di facciata, che serve solamente a far credere di mantenere un profilo green, portando avanti attività con un impatto ambientale più dannoso. Ciò contro cui anche l'Onu oggi si scaglia. Rendendo "mainstream" le ambiziose prese di posizione dell'Europa. Avanguardia mondiale per transizione energetica e finanza sostenibile.Qui il rapporto completo Onu contro il greenwashing consultato da IlGiornale.it
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