«Continuità non vuol dire conservazione. Dovremo aprirci pienamente al cambiamento e all'innovazione, come è avvenuto in passato nei momenti importanti della storia della Banca d'Italia». Contenuta nella mail inviata ieri a colleghe e colleghi da Fabio Panetta, neo governatore di Bankitalia, la frase vale di fatto come un pilastro programmatico e racconta molto della storia, anche recente, del banchiere centrale che ha preso le redini di Via Nazionale al posto dell'uscente Ignazio Visco.
Il cambiamento e l'innovazione, infatti, sono la sua cifra distintiva e hanno preso forma col progetto Euro Digitale, entrato nella fase di test e portato avanti con determinazione quale presidente dell'omonima task force su incarico del board della Bce. Un compito svolto con una dedizione che gli è valsa anche la stima della presidente Christine Lagarde, alla quale Panetta non ha però fatto sconti quando si è trattato di condividere le linee di politica monetaria. Del resto è nota la sua prudenza di fronte ai rialzi dei tassi a raffica, soprattutto quando pubblicamente ha invitato la presidente e i falchi a «non guidare come un pazzo a fari spenti nella notte». Nel suo invito a non perseverare nella «conservazione» il riferimento non è solo all'Italia, ma anche a un certo modo di fare cose in Europa che dovrebbe essere cambiato in vista della riforma del Patto di stabilità e di una politica monetaria non solo in funzione dei desiderata di Berlino.
Dalla mail del nuovo capo di Bankitalia filtra anche una certa umiltà quando descrive sentimenti contrastanti nell'«occupare la posizione che è stata di uomini illustri», ma anche «l'ambizione di essere all'altezza dei miei predecessori». A partire dal predecessore Visco, al quale riserva nella parte finale dello scritto un saluto affettuoso, affermando di essere legato a lui da «una consuetudine di lavoro che è divenuta nel tempo un rapporto di fiducia e di amicizia».
Panetta sa che gli impegni che attendono la Banca d'Italia in questa fase tumultuosa «sono molti e onerosi». Soprattutto perchè «le aspettative sui risultati del nostro lavoro sono come sempre assai elevate».
Anche se, nel tornare nell'istituto in cui è entrato nel 1985 e dal quale si è separato una prima volta dopo quasi 35 anni, sa bene di poter contare «sulla dedizione», «l'attitudine a servire» e la «professionalità» del personale. Già perché «sarebbe ingenuo pensare che la nomina del governatore possa essere sufficiente, da sola, a conservare la credibilità che la Banca d'Italia ha acquisito in 130 anni di storia sia in Italia sia all'estero».
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