Il clima si fa sempre più incandescente perché ormai siamo agli sgoccioli sulla tanto attesa riforma delle pensioni. In quello che è stato considerato il penultimo confronto tra governo e sindacati prima dell'incontro decisivo con i ministri Franco e Orlando previso la prossima settimana, la nuova proposta prevede la nuova possibilità di andare in pensione a 67 anni ma utilizzando il metodo contributivo per non gravare sulle casse dello Stato.
Ecco la nuova ipotesi
Quanto deciso dal premier Draghi, però, non piace più di tanto a Cgil, Cisl e Uil: il segretario confederale della Cgil, Roberto Ghiselli, ha affermato che la misura è "inaccettabile se comporta un taglio del 30% come in Opzione Donna". Insomma, l'intesa tra le parti sembra ancora lontana. Un punto in comune, però, ci sarebbe: come ci siamo occupati sul Giornale.it, prende piede l'idea lanciata qualche settimana fa da Michele Reitano, membro della Commissione tecnica del Ministero del Lavoro che studia come separare l'assistenza dalla previdenza e cercando di tutelare anche le categorie di lavoratori più fragili. Si potrebbe dare la possibilità di andare in pensione a 64 anni con 20 di contributi e un taglio del 3% dell'assegno sulla quota retributiva per ogni anno d'anticipo rispetto al raggiungimento dell'età di vecchiaia.
Per il governo però, l'importante è che la pensione in questione non risulti troppo bassa ma sia superiore rispetto all'assegno sociale. Come si legge su Repubblica, la "formula" per le pensioni contributive c'è già, e si tratta di una somma pari a 1.311 euro se si va via raggiunti i 64 anni. Secondo i sindacati, però, questo limite imposto sarebbe troppo elevato: per abbassarlo bisognerebbe rientrare nel sistema misto (retibutivo e contributivo). In questo modo anche l'Europa potrebbe dare il proprio ok: si lavora affinché "il 90% delle persone in uscita dal lavoro andranno in pensione con il calcolo misto e che la parte retributiva peserà solo per il 30% sull'assegno", scrivono dal centro ricerche itinerari previdenziali.
Cosa succede con i tagli
Anche in questo caso, però, i sindacati nicchiano. Come anticipato prima, l'economista Reitano avrebbe ipotizzato una misura che interessa anche Palazzo Chigi: non fare il ricalcolo come avviene con Opzione Donna ma adeguare il retributivo applicando "la differenza tra due indicatori importanti che trasformano la massa di contributi versati in una vita di lavoro (il montante) in pensione: i coefficienti di trasformazione (uno per ogni età di uscita)". In pratica, la parte retributiva si abbasserebbe grazie alla differenza tra i coefficienti che corrispondono a 64 e 67 anni, l'età di anticipo e quella legale. Al massimo, come detto, ci sarebbero tagli del 3% annui con un massimo del 9% in tre anni e limitato alla parte retributiva, molto più basso e "sopportabile" rispetto all'intera pensione.
Se è questa ipotesi è attualmente quella preferita, il governo ha già bocciato la proposta dei sindacati di andare in pensione con 41 anni di contributi indipendentemente dall'età.
"Bene il governo sulla flessibilità, ma sbagliata l'idea di legarla al ricalcolo contributivo", affermano Ignazio Ganga (Cisl) e Domenico Proietti (Uil). Quello che attualmente sappiamo, è che Quota 102 scadrà a fine anno e se le cose restassero come sono oggi, dal 1° gennaio 2023 tornerebbe in vigore la legge Fornero con l'uscita a 67 anni.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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