Le pensioni ricalcolate: cosa cambia col contributivo integrale

La riforma delle pensioni è entrata nel vivo: tra poche settimane sapremo cosa cambierà dal 2023. Per il momento, ecco le ipotesi e lo scontro governo-sindacati

Le pensioni ricalcolate: cosa cambia col contributivo integrale

Dopo mesi di chiacchiere, ci avviciniamo alla fase decisiva sulla riforma delle pensioni. A fine anno andrà definitivamente accantonata Quota 102 e non verrà riproposta la legge Fornero (a meno che non venga "rimodulata"). Questi, al momento, sono gli unici due punti fermi del nuovo sistema: governo e sindacati stanno trattando su quale potrà essere la formula più giusta per gli italiani. Da un lato, il governo preme per un piccolo taglio sull'importo dell'assegno per abbassare l'età pensionabile, le associazioni del mondo del lavoro, invece, premono per i 62 anni con 41 di contributi indipendentemente dall'età. Fra le ipotesi in campo, anche quella legata all'aspettativa di vita e le agevolazioni per le categorie che fanno lavori gravosi e usuranti. Insomma, di carne al fuoco ce n'è fin troppa.

La proposta di Tridico

Posizione sicuramente netta e chiara quella del presidente dell'Inps, Pasquale Tridico, il quale punta all'uscita dal lavoro a 64 anni con la somma contributiva maturata fino a quel momento e poi iniziare con il retributivo tre anni dopo, dai 67 in poi: in questo modo, si potrebbero salvaguardare le casse dello Stato. Infatti, il totale vale 400 milioni rispetto ai 10 miliardi di "Quota 41". Il "piano Tridico", quindi, non preve tagli sull'assegno ma una riduzione soltanto per i primi tre anni, dopodiché la pensione sarebbe "piena". Quanto proposto da Draghi, invece, va in direzione opposta perché si rischiano tagli sostanziosi: chi lascia a 64 anni, avrebbe un taglio del 3% per ogni anno di anticipo.

In pensione a 64 anni

Come abbiamo scritto sul Giornale.it, la strada più percorribile potrebbe essere quella dei 64 anni per l'età pensionistica con almeno 20 anni di contributi e il calcolo soltanto con il sistema contributivo. L'idea originaria è stata di Michele Reitano, membro della Commissione tecnica del Ministero del Lavoro, studia come separare l'assistenza dalla previdenza e cercando di tutelare anche le categorie di lavoratori più fragili. Si potrebbe dare la possibilità di andare in pensione a 64 anni con 20 di contributi e un taglio del 3% dell'assegno sulla quota retributiva per ogni anno d'anticipo rispetto al raggiungimento dell'età di vecchiaia. In questo modo, però, si assisterebbe ad un taglio complessivo del 9% in tre anni a patto che la pensione non sia troppo sotto una certa soglia. Si tratta, in realtà, di una formula già prevista dalla Legge Fornero per i contributivi puri, quelli cioé che lavorano dal 1996 applicando un multiplo di 2,8 volte. In questo caso, si esce a 64 anni soltanto se l'importo mensile della pensione è di almeno 1.311 euro.

Per il governo però, l'importante è che la pensione in questione non risulti troppo bassa ma sia superiore rispetto all'assegno sociale. Come riportato da Repubblica, la "formula" per le pensioni contributive c'è già, e si tratta di una somma pari a 1.311 euro se si va via raggiunti i 64 anni. Secondo i sindacati, però, questo limite imposto sarebbe troppo elevato: per abbassarlo bisognerebbe rientrare nel sistema misto (retibutivo e contributivo). In questo modo, anche l'Europa potrebbe dare il proprio ok: si lavora affinché "il 90% delle persone in uscita dal lavoro andranno in pensione con il calcolo misto e che la parte retributiva peserà solo per il 30% sull'assegno", scrivono dal centro ricerche itinerari previdenziali.

Una nuova Fornero?

Come abbiamo trattato recentemente sul Giornale.it, tra le raccomandazioni della Commissione Ue all'Italia c'era proprio un richiamo alla attuazione in modo regolare della riforma previdenziale voluta dal governo Monti. L'esecutivo, tra l'altro, avrebbe l'intenzione di rimodulare la legge Fornero a patto che il nuovo sistema pensionistico sia saldamente ancorato, come ricorda anche il Sole 24 Ore, ad un calcolo integrale contributivo dell'assegno. Questa mossa, però, potrebbe aprire lo scontro dato che Lega e sindacati spingono per tenere come soglia minima per il pensionamento i 62 e i 63 anni mentre con la Fornero l'asticella si sposterebbe fino ai 67 anni.

Cosa succede con Opzione donna

Come si legge su Il Tempo, Opzione Donna per le lavoratrici è stata confermata: consente l'uscita anticipata a chi ha compiuto 58 anni se dipendenti o 59 se autonome con 35 anni di contributi.

Le finestre sono lunghe, fino 12 mesi per le dipendenti e ben 18 mesi per le autonome. Le nate tra 1962 e il 1963 potranno lasciare il lavoro tra la fine di quest' anno e il prossimo: la platea complessiva riguarda 17mila donne.

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