Petrolio, non si ferma il crollo: greggio a 54 dollari al barile

A giugno l'oro nero si vendeva a cento dollari al barile. Ora il prezzo precipita sia in Usa che in Europa, ma l'Opec sembra non preoccuparsi. Perché?

Petrolio, non si ferma il crollo: greggio a 54 dollari al barile

Il prezzo del petrolio cala ancora. Il Wti - tipo di petrolio estratto negli Usa - è calato del 2,93%, attestandosi alla quota di 54,27 dollari al barile. Il brent, che invece è il tipo di petrolio di riferimento per l'Europa, è sceso del 3,10%, per un prezzo di 59,32 dollari al barile, ai minimi da maggio 2009. Queste cifre, però, sono solo le ultime di una lunga serie. Rispetto al 2010 i prezzi sono addirittura dimezzati. Ma cosa sta succedendo nel mondo del petrolio?

Lo scenario geopolitico

Innanzitutto bisogna procedere ad alcune considerazioni preliminari: gli Stati Uniti hanno ormai sorpassato la Russia nella produzione di gas e si apprestano a fare altrettanto con l'Arabia Saudita per quanto riguarda il petrolio, tanto da spingere Obama a concedere le prime licenze di esportazione del greggio. Così chi vendeva l'oro nero agli States si trova a perdere un acquirente.

Quello degli Usa, però, è un caso isolato. In Europa, ad esempio, le politiche di austerity hanno provocato un crollo della domanda; un discorso analogo vale anche per il Giappone che scivola ormai verso la recessione.Già si è scatenata la gara tra i produttori, ma il prezzo lo decide il mercato e il crollo attuale sta portando alcuni paesi produttori, come il Venezuela, sull'orlo del default.

La posizione dell'Opec

Nonostante il calo ininterrotto nel prezzo del greggio, l'Opec non sembra intenzionata a tornare sulla sua scelta di non tagliare la produzione di petrolio allo scopo di rilanciarne le quotazioni. Lo ha ribadito  da Dubai il segretario generale dell'organizzazione dei Paesi produttori di petrolio, Abdallah Salem el-Badri: "La decisione (di non tagliare la produzione) è stata presa all'ultimo vertice del 27 novembre a Vienna, e le cose resteranno come stanno - ha spiegato il segretario dell'Opec - I numeri della produzione non dovrebbero portare a questa drammatica riduzione dei prezzi ma è colpa della speculazione."

Anche il ministro dell'Energia degli Emirati Arabi Uniti, Suhail Al-Mazrouei, ha cercato nei giorni scorsi di gettare acqua sul fuoco, spiegando che l'Opec non taglierà la produzione anche se il prezzo dovesse scendere a 40 dollari al barile e che per tutto il prossimo semestre non sono previste riunioni d'emergenza dell'organizzazione. Ma tutta questa calma ostentata cosa nasconde? Nasconde un messaggio molto chiaro: se volete andare alla guerra dei prezzi, noi ci siamo. E i risultati già si vedono, con le piazze finanziarie occidentali sotto pressione (anche se, per dir la verità, nemmeno quelle del Golfo se la passano bene) e il rublo in caduta libera (al momento un euro vale cento rubli).

Il rapporto di Goldman Sachs

Per questo crollo nei prezzi (basti pensare che a giugno si parlava di 100 dollari al barile) hanno espresso preoccupazione giganti della finanza mondiale come Goldman Sachs. La banca d'affari Usa ha sottolineato come la brusca diminuzione nel prezzo dell'oro nero metterebbe a rischio quasi mille miliardi di dollari di investimenti nel settore.

Eventuali cancellazioni, spiegano gli analisti di Goldman Sachs, sottrarrebbero 7,5 milioni di barili ogni giorno di nuova produzione nei prossimi dieci anni: l'equivalente dell'8% dell'attuale domanda di petrolio su scala globale. In pratica, la situazione attuale potrebbe far venire meno quell'eccesso di scorte all'origine del ribasso i prezzi a cui siamo di fronte. Molti dei grandi gruppi petroliferi  stanno procrastinando i maggiori progetti di investimento in programma per i prossimi anni: uno per tutti, quello progettato per il Golfo del Messico, del tutto insostenibile con il petrolio a 60 dollari al barile.

Tuttavia, continua Goldman Sachs nel suo rapporto, il calo dei prezzi del greggio non dovrebbe compromettere le quote produttive Usa: "I costi stanno scendendo tanto velocemente quanto i prezzi - spiegano dalla banca d'affari - e ciò significa che i produttori sono in grado di spendere meno ottenendo gli stessi livelli produttivi e potenzialmente anche di più".

L'altalena delle borse

Nel frattempo gli effetti del calo dei prezzi si ripercuotono sulle borse, con un andamento da montagne russe che si è protratto per tutto il giorno. In Asia, questa mattina Tokyo ha ceduto il 2%, Seul lo 0,85% e Sydney lo 0,65% mentre Hong Kong scivola dell'1,26%. Il trend non si è poi risollevato nel corso della giornata: alle 16.15 ora italiana Tokyo perdeva il 2,01% e Hong Kong l'1,55%, mentre Shangai cedeva il 2,31%. Un po' meglio è andata alle piazze europee, che stamattina hanno aperto, sia pure di poco, in rialzo: mentre a metà seduta chiudevano quasi tutte poco al di sotto della parità, Milano ha chiuso in rialzo del 3,27%, Londra del 2,28%. Parigi ha guadagnato il 2,12%, Francoforte il 2,39% e Madrid l'1,15%.

Decisamente peggiore, invece, la situazione nel Golfo: a metà seduta tutte le borse dell'area erano in forte ribasso, con Dubai che ha chiuso perdendo il 7,3%, in ragione anche della sua maggiore esposizione sui mercati internazionali. È la flessione in chiusura più elevata degli ultimi dieci anni.

Un discorso a parte, invece, va fatto per la borsa di Mosca. L'indice Rts denominato in dollari è arrivato a cedere fino al 19%: si tratta del peggior crollo dal 1995.

A fine giornata un

lievissimo rincaro dei prezzi del petrolio e una piccola flessione nel crollo del valore del rublo sono riusciti ad infondere un minimo di fiducia ai mercati. Anche Wall Street sta recuperando dopo un avvio in flessione.

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