«Non è una nostra decisione, è una domanda che non va fatta ai manager». L'ad di Poste, Matteo Del Fante, interpellato in audizione in commissione Trasporti alla Camera, non ha commentato la decisione del Tesoro di collocare una quota fino al 15% della società che dovrebbe portare in cassa circa 2,5 miliardi a fine ottobre, prima della presentazione della trimestrale attesa a inizio novembre. Del Fante ha spiegato di essere il «manager di un'azienda che fa una determinata attività sul mercato, punto». La versione definitiva del Dpcm, infatti, non è ancora stata pubblicata e il timing prevede che, oltre alla nomina degli advisor, vi siano una serie di procedure da seguire per ottenere l'ok dalla Consob. Un'accelerazione è attesa la prossima settimana considerato che sono già state inviate le lettere alle banche italiane e internazionali affinché manifestino interesse a partecipare come coordinator e bookrunner al collocamento.
In audizione Del Fante ha anche anticipato che non è scontata la partecipazione di Poste alla prossima gara per il servizio universale. «Il contratto di programma scade il 31 dicembre 2024, ma ci sarà una proroga. Il tema vero è che il 30 aprile 2026 scade la concessione del servizio universale sotto la quale si sono inseriti, di 5 anni in 5 anni, i contratti di programma», ha ricordato aggiungendo che «verosimilmente il Mimit espleterà una procedura di gara per vedere chi sono i soggetti disposti a operare il servizio universale». Il «rischio reale», ha proseguito, è che Poste potrebbe «non essere interessata a continuare a svolgere quel servizio». L'ad ha precisato che il suo predecessore (Francesco Caio; ndr) «diceva in modo molto chiaro già 10 anni fa che nessun operatore di mercato avrebbe firmato il contratto di servizio universale, perché i soldi che arrivano per gli uffici postali sono una frazione dei costi che nascono dagli impegni che l'azienda deve tenere per il servizio universale». In pratica, come Poste «siamo strutturalmente sottocompensati da 10 anni per il servizio che facciamo», ha concluso.
Il servizio universale, infatti, prevede la consegna di pacchi e corrispondenza in tutte le zone d'Italia ed è finanziato sia dallo Stato che dalle stesse Poste. Le consegne pacchi, tuttavia, oggi sono in capo a molti operatori, mentre la digitalizzazione ha fatto sì che progressivamente la Pec occupi lo spazio delle raccomandate. Il problema di redditività è evidente e non a caso Del Fante ha sottolineato che «se per assurdo a Poste fossero imposti degli obblighi di condivisione delle nostre infrastrutture con tutti gli operatori di mercato, allora è ovvio che a Poste non conviene più essere il fornitore del servizio universale».
Un chiaro riferimento all'Antitrust che vorrebbe aprire gli uffici alle utility e ai fornitori di servizi finanziari concorrenti. Poste, tuttavia, ha raggiunto con anticipo le milestone 2024 concordate con il Mimit per il programma Polis di modernizzazione di 7mila uffici.
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