Inflazione, geopolitica e magari tornaconti elettorali. Così si spiegano gli analisti i recenti movimenti sul mercato delle valute, dove il dollaro si sta avvicinando sempre di più all'euro in quello che sarebbe un sorpasso storico. Il dollaro è arrivato lo scorso 13 maggio fino a 1,0385. Si tratta del valore minimo dal gennaio 2017 (alla guida della Bce c'era ancora Mario Draghi). E allora, vista la politica monetaria aggressiva della Fed di Jerome Powell e quella un po' più attendista della Bce di Christine Lagarde, non è impossibile immaginare un prossimo futuro con un dollaro più forte rispetto all'euro.
I dati storici sul cambio delle due valute partono dal 1999. Il dollaro mise la freccia la prima volta sulla moneta unica nel gennaio del 2000, per arrivare al suo apice nell'ottobre dello stesso anno, quando bastavano 0,8252 dollari per avere un euro. Da lì però iniziò un declino della moneta Usa nei confronti dell'euro. La moneta unica fece il controsorpasso nel 2002, per poi rimanere stabilmente sopra fino ai giorni nostri. Un cambio che arrivò ai massimi nel 2008, a quota 1,5990. La supremazia è stata messa in discussione negli ultimi mesi. Eppure, secondo gli analisti il sorpasso non è certo.
«La Fed ha fatto di più e molto prima della Bce, che inizierà a rialzare i tassi forse a partire da luglio», spiega Antonio Cesarano, chief global strategist di Intermonte. «L'andamento dell'inflazione ha agito in chiave pro dollaro, che è stato visto come una valuta più sicura». Nelle ultime settimane, però, si è iniziato a parlare di stagflazione, ovvero un fenomeno di stagnazione economica e inflazione che agiscono insieme. Alcuni dati macro e la guidance di alcuni colossi, come Walmart, stanno cominciando a far parlare di recessione anche negli Usa, un fatto nuovo.
«Nei prossimi mesi io credo a un dollaro più debole», continua Cesarano, «La Fed ha fretta di alzare i tassi per raffreddare l'inflazione entro novembre, quando ci saranno le elezioni. Un rialzo dei tassi veloce, però, scatenerà la recessione, questo il mercato lo prezza e porterà il dollaro a essere più debole». Questa visione però rimane valida in uno scenario base dove le forniture di gas in Europa dalla Russia continuassero. E così le scorte, che dovrebbero arrivare, seppur in ritardo, a riempirsi all'80-90% entro novembre. Viceversa, l'economia europea rischierebbe il collasso. E quindi anche gli scenari di cambio sarebbero diversi.
Per Antonio Tognoli, head of research di Integrae Sim, c'è un trend di rafforzamento del dollaro in atto e il sorpasso dovrebbe essere solo «questione di tempo». Secondo l'analista, La Fed sta adottando una tattica da annuncio di guerra. «Al giorno d'oggi la comunicazione tramite media e social è molto efficace, oggi, rispetto a 30-40 anni fa. Se l'aumento dei tassi, insieme all'effetto annuncio, dovessero portare a ridurre i prezzi del 30-40% entro agosto, allora ci sarebbe una politica monetaria un po' meno dura e un effetto più limitato sul dollaro. Viceversa, Powell potrebbe intervenire con l'accetta e alzare i tassi in modo ancor più deciso entro la fine dell'anno». Rialzi dei tassi più rapidi vorrebbero dire alte probabilità di recessione e, questo, insieme al rialzo dei tassi d'interesse in Europa porterebbe, dice Tognoli, «a riportare la domanda sull'Europa» e quindi a favorire il recupero dell'euro in un lasso di tempo di 12-15 mesi.
Sullo sfondo, c'è l'andamento dello yuan, che si è deprezzato molto negli ultimi mesi a causa di risultati economici sotto le attese.
«La Cina vedrebbe di buon occhio un dollaro più debole sull'euro per evitare un deprezzamento eccessivo della sua moneta», afferma Cesarano. E chissà se questo fattore non possa avere un peso sui movimenti delle valute nei prossimi mesi.
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