L'onda lunga è arrivata oltre gli scogli di Wall Street. Ormai quasi ovunque, i rendimenti dei bond sovrani stanno risalendo a causa dei timori legati a un possibile surriscaldamento dell'inflazione.
Dall'Australia al Giappone, e fino all'Europa, il movimento ascendente prosegue senza sosta, con un'accelerazione impressa anche dalle vendite che stanno colpendo i titoli governativi. Prezzi in calo, tassi in ascesa. Come da manuale.
Ma è un fenomeno difficile da mandar giù per un Paese come l'Italia: lo spread Btp-Bund balzato a 104 punti (dai 99 di mercoledì) e il rendimento del decennale allo 0,80% (contro lo 0,69% dell'ultimo riferimento), ai massimi da ottobre 2020, rischiano di complicare il lavoro di Mario Draghi e la quadratura dei conti da parte del Tesoro.
Questa ha tutta l'aria di essere una brutta tempesta, scatenatasi mentre la guerra contro la pandemia non è ancora vinta. Il grado di allerta alla Bce è a Defcon3. Dopo la presidente Christine Lagarde, ieri ha fatto sentire la propria voce la tedesca Isabel Schnabel, componente del board: «Un aumento troppo brusco dei rendimenti reali sulla scia del miglioramento delle prospettive di crescita globale potrebbe mettere a repentaglio la ripresa. La Bce combatterà qualsiasi forte aumento di questi tassi».
Quasi nessuno, ormai, minimizza. A parte il capo della Fed, Jerome Powell, che continua a troncare e sopire («L'inflazione è debole») nel tentativo di rassicurare i mercati, malgrado abbia sotto la poltrona un detonatore pericoloso: i tassi dei T-bond a 10 anni hanno scavalcato ieri l'1,49% e, dunque, superato i rendimenti collegati ai dividendi dell'S&P 500 (1,47%). Inoltre, sono ormai a un soffio da quell'1,50% che Nomura considera come l'innesco per una doccia gelata sugli asset rischiosi. A cominciare da quelli tecnologici. Di fatto, alcuni titoli con quotazione inflazionate sono ora meno attraenti rispetto ai più sicuri Treasury. Difatti, Wall Street (-1% a meno di un'ora dalla chiusura) ha accusato il colpo. A preoccupare gli analisti è inoltre la vendita dei bond del Tesoro da parte degli investitori «lunghi» sul mercato delle obbligazioni garantite da ipoteche. In ballo ci sono circa 7mila miliardi di dollari. In realtà, si tratta di una svendita, perché la mossa è obbligata: l'aumento dei rendimenti dei T-bond, legati filo doppio ai tassi sui prestiti immobiliari, fa venir meno l'interesse da parte di molti americani a rifinanziare i loro vecchi mutui.
Ma liberarsi dai T-bond significa anche alimentare quel movimento ascensionale dei rendimenti che non sembra destinato a finire presto, sorretto com'è dalla convinzione che la ripresa sarà robusta, e l'inflazione pure.
Nessuno ieri ha dato peso alla crescita del 4,1%, inferiore alle previsioni, del Pil nel quarto trimestre 2020 dal momento che tutto è proiettato sulle attese di Recovery di quest'anno. La stessa Fed ha parlato di una possibile crescita del 6%.
E uno «strappo» così forte richiederà - a detta dei mercati - una stretta sui tassi ben prima del previsto. Il calo del prezzo dell'oro ne sarebbe la prova. Sempre che la banca centrale Usa non rimetta a posto tutte le pedine comprando più bond. Insomma: «senzadubbiamente», più Qe per tutti.
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